Samuel Philippe era un uomo dabbene in tutta l'accezione della parola: nessuno ricordava di avergli mai visto compiere una cattiva azione, o fare volontariamente torto a qualcuno. Pieno di una dedizione illimitata per gli amici, era sempre pronto a rendersi utile, anche a spese dei suoi stessi
interessi. Pene, fatiche, sacrifici, nulla gli era di peso quando si trattava di rendersi utile; e lo faceva naturalmente, senza ostentazione, meravigliandosi anzi che qualcuno gliene facesse un merito. Non aveva mai serbato rancore a coloro che gli avevano fatto del male, e li aiutava con la stessa premura che avrebbe dimostrato se gli avessero fatto del bene. Quando aveva a che fare con degli ingrati, si diceva: «Non sono io, quello che si deve compiangere: sono loro». Sebbene intelligente e dotato di molto spirito naturale, aveva avuto una vita di fatiche, oscura e disseminata di dure prove.
«Voi sapete di quante tribolazioni è stata disseminata la mia vita; non mi è mai mancato il coraggio nelle avversità. Grazie a Dio! Oggi me ne rallegro. Quante cose avrei perduto, se avessi ceduto allo scoraggiamento! Tremo al solo pensiero che, se avessi fallito, ciò che ho sopportato sarebbe stato inutile e io avrei dovuto ricominciare. O amici miei, penetrate questa verità: ne va della vostra felicità futura. No, certo, non è pagare la felicità a prezzo troppo alto, se la si acquista con pochi anni di sofferenza. Se sapeste come sono ben poca cosa gli anni, di fronte all'infinito!
interessi. Pene, fatiche, sacrifici, nulla gli era di peso quando si trattava di rendersi utile; e lo faceva naturalmente, senza ostentazione, meravigliandosi anzi che qualcuno gliene facesse un merito. Non aveva mai serbato rancore a coloro che gli avevano fatto del male, e li aiutava con la stessa premura che avrebbe dimostrato se gli avessero fatto del bene. Quando aveva a che fare con degli ingrati, si diceva: «Non sono io, quello che si deve compiangere: sono loro». Sebbene intelligente e dotato di molto spirito naturale, aveva avuto una vita di fatiche, oscura e disseminata di dure prove.
«Voi sapete di quante tribolazioni è stata disseminata la mia vita; non mi è mai mancato il coraggio nelle avversità. Grazie a Dio! Oggi me ne rallegro. Quante cose avrei perduto, se avessi ceduto allo scoraggiamento! Tremo al solo pensiero che, se avessi fallito, ciò che ho sopportato sarebbe stato inutile e io avrei dovuto ricominciare. O amici miei, penetrate questa verità: ne va della vostra felicità futura. No, certo, non è pagare la felicità a prezzo troppo alto, se la si acquista con pochi anni di sofferenza. Se sapeste come sono ben poca cosa gli anni, di fronte all'infinito!
«Se la mia ultima esistenza ha avuto dei meriti ai vostri occhi, non avreste certo detto lo stesso di quelle che l'hanno preceduta. Solo per mezzo del lavoro compiuto su me stesso sono diventato ciò che sono ora. Per cancellare le ultime tracce delle mie colpe passate, dovevo ancora subire queste ultime prove, che avevo volontariamente accettato. Ho attinto dalla fermezza delle mie risoluzioni la forza di sopportarle senza lagnarmi. Oggi benedico quelle prove; per loro mezzo ho rotto con il passato, che per me è soltanto un ricordo, e posso ormai contemplare con soddisfazione legittima il cammino che ho percorso.
«O voi che mi avete fatto soffrire sulla Terra, che siete stati duri e malevoli verso di me, che mi avete umiliato e amareggiato, che con la vostra malafede mi avete spesso costretto alle privazioni più dure, non soltanto io vi perdono, ma vi ringrazio. Volendomi fare del male, non pensavate che mi facevate del bene. E' vero che debbo a voi gran parte della felicità di cui godo, poiché mi avete fornito l'occasione di perdonare e di rendere bene per male. Dio vi ha posti sulla mia strada per mettere alla prova la mia pazienza e per esercitarmi nella più difficile pratica di carità: l'amore per i nemici.
«Non spazientitevi per questa digressione: ora vengo a ciò che mi avete chiesto. «Benché soffrissi crudelmente durante la mia ultima malattia, non ho avuto agonia: la morte è venuta per me, come il sonno, senza lotte e senza scosse. Poiché non avevo timori per l'avvenire, non mi sono aggrappato alla vita; perciò non ho dovuto dibattermi nell'ultima stretta; la separazione si è compiuta senza sforzi, senza dolore, e senza che me ne sia accorto. «Ignoro quanto sia durato quest'ultimo sonno, ma è stato breve. Il risveglio è stato di una serenità che contrastava con il mio stato precedente: non sentivo più dolori e me ne rallegravo; volevo alzarmi, camminare, ma uno stordimento che non aveva nulla di sgradevole, che anzi aveva un certo fascino, mi tratteneva, e io mi abbandonavo ad esso con una specie di voluttà senza rendermi conto della situazione e senza sospettare che avevo lasciato la terra. Ciò che mi circondava mi sembrava un sogno.
«Ho visto mia moglie e alcuni amici inginocchiati nella stanza, piangenti, e mi sono detto che senza dubbio mi credevano morto; avrei voluto rincuorarli, ma non riuscivo a pronunciare una sola parola; allora ho concluso che sognavo. Ciò che mi ha confermato questa impressione è stato il fatto che mi vedevo circondato da molte persone care, morte da tanto tempo, e da altre che non riconoscevo e che sembravano vegliare su di me per attendere il mio risveglio. «Questo stato era inframmezzato da istinti di lucidità e di sonnolenza, durante i quali recuperavo e perdevo alternativamente la coscienza del mio io. A poco a poco, le mie idee acquistarono maggiore chiarezza; la luce che intravedevo attraverso una nebbia divenne più brillante; allora incominciai a riconoscermi e compresi che non appartenevo più al mondo terrestre. Se non avessi conosciuto lo Spiritismo, l'illusione si sarebbe indubbiamente protratta per molto più tempo.
«La mia spoglia mortale non era ancora stata sepolta; la considerai con pietà, rallegrandomi di essermene finalmente liberato. Ero così felice di essere libero! Respiravo facilmente, come chi esce da un'atmosfera nauseabonda; un'indicibile sensazione di felicità penetrava tutto il mio essere; la presenza di coloro che avevo amato mi colmava di gioia; non ero affatto sorpreso di vederli; mi sembrava del tutto naturale, ma avevo l'impressione di rivederli dopo un lungo viaggio. Una cosa mi sbalordì, all'inizio: ci comprendevamo senza articolare parola; i nostri pensieri si trasmettevano per mezzo dello sguardo, in una specie di penetrazione fluidica.
«Tuttavia non mi ero ancora sbarazzato completamente delle idee terrene; il ricordo di ciò che avevo sopportato ritornava alla mia memoria, di tanto in tanto, quasi per farmi apprezzare di più la mia nuova condizione. Avevo sofferto fisicamente, ma soprattutto moralmente; ero stato bersaglio della malevolenza, di quelle mille perplessità forse ancora più penose delle vere sventure, perché causano un'ansia perpetua. La loro impressione non era ancora completamente cancellata, e talvolta mi chiedevo se me ne ero veramente sbarazzato; mi pareva di udire ancora certe voci sgradevoli; temevo gli imbarazzi che tanto spesso mi avevano tormentato, e nonostante tutto tremavo; mi tastavo, per così dire, perché volevo assicurarmi di non essere vittima di un sogno; e quando ebbi acquisito la certezza che tutto ciò era finito davvero, mi parve di essere stato sollevato di un peso enorme. E' dunque vero, mi dicevo, mi sono finalmente liberato di quelle angosce che costituiscono il tormento della vita; e ne rendevo grazie a Dio. Ero come un povero che all'improvviso acquisisce una grande fortuna; per qualche tempo, dubita della realtà e prova ancora le apprensioni del bisogno. Oh, se gli uomini comprendessero la vita futura, quale forza, quale coraggio darebbe loro questa convinzione nelle avversità! Che cosa non farebbero, finché sono sulla terra, per assicurarsi la felicità riservata da Dio ai suoi figli che obbediscono alle sue leggi! Vedrebbero che le gioie da loro invidiate sono ben poca cosa in confronto a quelle che trascurano!».
«O voi che mi avete fatto soffrire sulla Terra, che siete stati duri e malevoli verso di me, che mi avete umiliato e amareggiato, che con la vostra malafede mi avete spesso costretto alle privazioni più dure, non soltanto io vi perdono, ma vi ringrazio. Volendomi fare del male, non pensavate che mi facevate del bene. E' vero che debbo a voi gran parte della felicità di cui godo, poiché mi avete fornito l'occasione di perdonare e di rendere bene per male. Dio vi ha posti sulla mia strada per mettere alla prova la mia pazienza e per esercitarmi nella più difficile pratica di carità: l'amore per i nemici.
«Non spazientitevi per questa digressione: ora vengo a ciò che mi avete chiesto. «Benché soffrissi crudelmente durante la mia ultima malattia, non ho avuto agonia: la morte è venuta per me, come il sonno, senza lotte e senza scosse. Poiché non avevo timori per l'avvenire, non mi sono aggrappato alla vita; perciò non ho dovuto dibattermi nell'ultima stretta; la separazione si è compiuta senza sforzi, senza dolore, e senza che me ne sia accorto. «Ignoro quanto sia durato quest'ultimo sonno, ma è stato breve. Il risveglio è stato di una serenità che contrastava con il mio stato precedente: non sentivo più dolori e me ne rallegravo; volevo alzarmi, camminare, ma uno stordimento che non aveva nulla di sgradevole, che anzi aveva un certo fascino, mi tratteneva, e io mi abbandonavo ad esso con una specie di voluttà senza rendermi conto della situazione e senza sospettare che avevo lasciato la terra. Ciò che mi circondava mi sembrava un sogno.
«Ho visto mia moglie e alcuni amici inginocchiati nella stanza, piangenti, e mi sono detto che senza dubbio mi credevano morto; avrei voluto rincuorarli, ma non riuscivo a pronunciare una sola parola; allora ho concluso che sognavo. Ciò che mi ha confermato questa impressione è stato il fatto che mi vedevo circondato da molte persone care, morte da tanto tempo, e da altre che non riconoscevo e che sembravano vegliare su di me per attendere il mio risveglio. «Questo stato era inframmezzato da istinti di lucidità e di sonnolenza, durante i quali recuperavo e perdevo alternativamente la coscienza del mio io. A poco a poco, le mie idee acquistarono maggiore chiarezza; la luce che intravedevo attraverso una nebbia divenne più brillante; allora incominciai a riconoscermi e compresi che non appartenevo più al mondo terrestre. Se non avessi conosciuto lo Spiritismo, l'illusione si sarebbe indubbiamente protratta per molto più tempo.
«La mia spoglia mortale non era ancora stata sepolta; la considerai con pietà, rallegrandomi di essermene finalmente liberato. Ero così felice di essere libero! Respiravo facilmente, come chi esce da un'atmosfera nauseabonda; un'indicibile sensazione di felicità penetrava tutto il mio essere; la presenza di coloro che avevo amato mi colmava di gioia; non ero affatto sorpreso di vederli; mi sembrava del tutto naturale, ma avevo l'impressione di rivederli dopo un lungo viaggio. Una cosa mi sbalordì, all'inizio: ci comprendevamo senza articolare parola; i nostri pensieri si trasmettevano per mezzo dello sguardo, in una specie di penetrazione fluidica.
«Tuttavia non mi ero ancora sbarazzato completamente delle idee terrene; il ricordo di ciò che avevo sopportato ritornava alla mia memoria, di tanto in tanto, quasi per farmi apprezzare di più la mia nuova condizione. Avevo sofferto fisicamente, ma soprattutto moralmente; ero stato bersaglio della malevolenza, di quelle mille perplessità forse ancora più penose delle vere sventure, perché causano un'ansia perpetua. La loro impressione non era ancora completamente cancellata, e talvolta mi chiedevo se me ne ero veramente sbarazzato; mi pareva di udire ancora certe voci sgradevoli; temevo gli imbarazzi che tanto spesso mi avevano tormentato, e nonostante tutto tremavo; mi tastavo, per così dire, perché volevo assicurarmi di non essere vittima di un sogno; e quando ebbi acquisito la certezza che tutto ciò era finito davvero, mi parve di essere stato sollevato di un peso enorme. E' dunque vero, mi dicevo, mi sono finalmente liberato di quelle angosce che costituiscono il tormento della vita; e ne rendevo grazie a Dio. Ero come un povero che all'improvviso acquisisce una grande fortuna; per qualche tempo, dubita della realtà e prova ancora le apprensioni del bisogno. Oh, se gli uomini comprendessero la vita futura, quale forza, quale coraggio darebbe loro questa convinzione nelle avversità! Che cosa non farebbero, finché sono sulla terra, per assicurarsi la felicità riservata da Dio ai suoi figli che obbediscono alle sue leggi! Vedrebbero che le gioie da loro invidiate sono ben poca cosa in confronto a quelle che trascurano!».
Tratto da: vitaoltrelavita.it
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