Il fatto di trovarsi bene nel mondo astrale della forma può indurre un’anima a prolungarvi
il soggiorno senza fine. Per lei quello è già il paradiso, a differenza che per altre, per cui
quelle esperienze potrebbero solo rappresentare gradini di una scala altissima che si prolunga
molto al di là e che solo all’ultimo, al sommo, adduce al paradiso vero.
Per quanto le guide possano sollecitarla ad elevarsi, quell’anima si sentirà indotta a
resistere il più possibile ad appelli del genere per fare, al contrario, ogni sforzo al fine di
mantenere ad oltranza lo status quo. Non ho voglia di evolvermi, ci confida Sandro. La sfera
mi sta bene, gli amici sono quelli di sempre: ci divertiamo e scherziamo ().
Anche Livia e Titta hanno forti resistenze, come risulta dai lunghi colloqui avuti con me
riportati nei Colloqui con l’altra dimensione, che hanno per protagonista anche Sandro.
Ci sono poi, per fare un altro esempio significativo, le resistenze della Signorina Clorinda,
detta Clory. Sono proprio io a farle il guastafeste, quasi in sostituzione della guida; e la
povera Signorina (con la quale – fatto eccezionalissimo – ci diamo del lei) replica in tono
accorato: Se veramente mi concentro su quello che Lei mi ha detto, allora mi rattristo.
“Gliel’ho detto per il Suo bene”, insisto. E la buona Signorina, che si fa anche lei un po’
furbetta: Ma l’eternità è lunga e senza fine. Subito, però, aggiunge: Ma sia certo, amabile
Professore, che terrò nella debita considerazione il Suo consiglio.
Nel frattempo, però, la Signorina Clory si sta godendo il piacevole soggiorno in una
particolare sfera dove è ricreato l’ambiente di uno stabilimento termale, e per nulla vorrebbe
rinunciarvi. Quindi chiede, con tutto il suo garbo, una dilazione: Posso almeno terminare, se
a Lei non dispiace, il mio soggiorno alle terme? ().
Anche le anime che con le loro comunicazioni alimentano tanta letteratura medianica del
filone spiritualistico anglosassone hanno l’aria di stare a perfetto agio nella loro fetta di
aldilà, che è tutto un panorama di casette di stile inglese con davanti il giardino e dietro il
cortiletto.
Si entra nella hall, da dove una scala con la moquette porta alle camere del piano
superiore, mentre nel salotto a pian terreno accanto al fuoco c’è una teiera con le tazze, i
piattini e il plum-cake, e al tutto fa la guardia un grosso bulldog accucciato accanto al
caminetto, con un occhio semiaperto.
Ci sono, però, anche le anime inglesi dissenzienti, come il già nominato Belive: Io pure ci
sono stato, dice, ma è sgradevole. “Ma agli inglesi piace immensamente questa maniera di
vivere e (perché no?) di sopravvivere così tipicamente e stucchevolmente inglese”. In terra
sì, ma in cielo... “Mi risulta che tante anime inglesi indugiano assai in tale condizione”. O[hJ
sì, non se ne distaccherebbero mai ().
La sfera formale a tanti piace, si è detto, ma non proprio a tutti e sempre. Dice, per
esempio, Nanda: A volte mi pare che tutto proceda bene, altre volte sono scontenta. “Perché
mai?” chiedo. Me ne dà la ragione: Ritorno in ambienti che non vorrei. “Quali?” Quelli dove
ci sono i miei morti. “Perché, non ti piacciono quegli ambienti?” Non così pensavo al mondo
soprannaturale. “Come sono quegli ambienti?” Come quelli della terra ().
Nell’approdare a certe sfere dell’aldilà, anche Piergiacomo le trova fin troppo simili alla
terra e antropomorfiche, e la cosa non è di suo gusto: È un momento un po’ di delusione: ti
aspetti un mondo, diciamo così, di angeli; invece... ().
Anche per Ubaldo è stato un po’ strano: sai, uno non s’immagina che il paradiso sia la
terra (). Non ho trovato il paradiso, attesta Mario, bensì un mondo simile al nostro, e
invece io credevo di trovare il paradiso del catechismo ().
Chi la vuol cotta e chi cruda, si sarebbe tentati di commentare, a sentire Empedocle di
Boville (a pochi chilometri da Frosinone), il quale trapassando ha finito per sistemarsi in una
replica del suo paese amato: facsimile che somiglia, sì, tanto all’originale, ma non
abbastanza.
“Che differenza c’è tra la Boville della terra e quella del cielo?” Meno bella in cielo. “E
come mai?” Beh, manca qualcosa: nun c’è la terra, come ti posso dì. “Puoi spiegarti meglio?
Cos’è che manca esattamente?” Un certo (e qui Empedocle ha fatto pausa, come a cercare le
parole più adatte) rumore, canti, amici. Insomma manca quello che c’è in un paese sulla
terra ().
Si può comprendere come un attaccamento eccessivo alla vita possa ostacolare l’adattarsi
dell’anima alla nuova condizione ultraterrena, specialmente quando una morte prematura
colga un giovane, come suoi dirsi, “così pieno di vita”.
Difficoltà analoghe a inserirsi nel mondo spirituale possono avere i materialisti, diciamo
così, incalliti, al pari degli atei il cui ateismo non sia solo una posizione dottrinale, ma un
modo di sentire e di essere. Ho detto così, semplicemente, a Ubaldo, senza nemmeno sfumare
troppo il discorso: “Ho inteso o letto da qualche parte che agli atei in genere come ai
materialisti non è per nulla facile inserirsi nel mondo spirituale quando trapassano”. Io infatti
sono in un mondo materiale, ha replicato Ubaldo senza pensarci due volte.
“Chi entra nella dimensione spirituale da materialista che genere di difficoltà incontra?” È
difficile l’evoluzione. “Cioè...?” Non è che uno si trovi male, ma resta sempre in un ambiente
terreno e non si evolve, non si spiritualizza ().
“Hai una forma umana?” chiedo a Belive. E lui: Sì, ma non mi piaceva averla ().
Io avevo il complesso del mio corpo, ci confida Iuzza, una grassa madre di famiglia di
Palermo che, trapassando, si è ritrovata nella sfera una replica astrale spietatamente esatta del
suo vecchio corpo obeso. Ora che è riuscita a perdere la forma, Iuzza è felice: si sente libera e
come trasparente ().
Nella dimensione astrale c’è chi per un periodo di tempo si porta la sua forma
similcorporea con scarso piacere e convinzione, e c’è chi non l’ha mai, neanche all’inizio. Io
voglio farti sapere, mi dice Paolo, che ci sono anime come me che non hanno un aspetto
umano.
Come si spiega questa differenza rispetto alle anime che, pur malvolentieri, si portano il
loro aspetto umano anche nell’aldilà? Giova, ogni volta, ritornare a quello che è il principio
dei principi: la vita disincarnata è tutta una creazione mentale. Ora la mente crea secondo le
proprie abitudini, inclinazioni, tendenze anche al livello inconscio, gusti, credenze,
convinzioni.
Questo ci aiuta a capire meglio la spiegazione che ci dà lo stesso Paolo: Avevo sempre
pensato che nel mondo spirituale non ci fossero aspetti terreni: non mi era possibile
immaginare di avere un corpo nell’altro mondo ().
Un’altra anima che non ha ancora assunto alcun aspetto umano simile a quello precedente
sulla terra è la giovane Edith ().
Nemmeno Fievole ha avuto ancora una vita astrale similterrena. Egli è trapassato con le
sue antiche convinzioni reincarnazionistiche, di marca esoteristico-teosofica, perfettamente
convinto di doversi reincarnare immediatamente: Si attende subito una nuova esistenza, mi
dice.
E difatti nemmeno è certo se, richiamandolo dopo due giorni, lo ritroverò nell’altra
dimensione, o se invece potrò incontrarlo di nuovo solo tra qualche anno, con gli occhi a
mandorla, in occasione di un viaggio nel Tibet che farò allora. (Suo vivo desiderio è di
rinascere in un paese orientale. E quale meglio del Tibet, se gli va bene?)
Come suona il titolo di un famoso film, “Il cielo può attendere”: anche per lui. E, quanto a
un corpo astrale similterreno, egli potrà averlo solo alla fine di tutte le reincarnazioni. Coloro
che già lo hanno sono, per lui, spiriti che non ritornano: chi non vuol tornare non ritorna, ma
sono pochi, precisa; sono quelli che una sola esistenza ha appagato ().
Mes è un’altra entità che nega di avere un aspetto umano. “Come mai?” Sono una pura
energia piccola e iniziale, mi dice. E aggiunge: Io non vedo il mio aspetto. Forse c’è, ma io
non ne ho la coscienza. “Ma dopo il trapasso non hai avuto mai una forma?” Non la ricordo,
ma questo sarà dovuto al mio stato.
Si trovava in espiazione; e solo dopo una lunga serie di colloqui, che avevano migliorato
la sua condizione ultraterrena, ci ha confidato che cominciava in qualche modo a vedersi. A
quel punto egli appariva a se stesso come un grosso essere informe, come una sorta di
bozzolo gigante ().
Un’altra anima che dice di non aver mai avuto un corpo astrale similterreno è Salus. Come
spiega questo fatto lui stesso? Io mi sono spogliato delle impurità con lunga ascesi, ricorda.
Per molti anni ho accettato dolori e immobilità. Son parole che, se certamente non spiegano
proprio tutto, suggeriscono forse qualcosa. L’aspetto umano lo si può avere, dice, se lo
desideri. Le entità che lo hanno sono anime attaccate. E l’avere o meno tale forma dipende
condizione, precisa con espressione un po’ telegrafica ().
Quando beninteso lo si ha, perdere l’aspetto umano è naturalmente la prima cosa da fare
per assurgere al livello di un’esistenza spirituale più epurata, più distaccata dalla terra e
perciò di ordine più mentale e spirituale in senso proprio, senza attenuazioni e compromessi.
Un’anima si accorge di avere un aspetto umano e contemporaneamente guardandosi
intorno (per dire così) scorge intorno a sé altre anime con aspetto sempre di uomini e donne
di questa terra, e tutto un paesaggio similterreno, o una strada di città, o l’arredamento
completo di una stanza. Il vedere se stessi in forma e veste umana e il vedere altre anime con
aspetto analogo vanno di pari passo. Così vanno di pari passo lo scorgere anime (inclusi se
medesimi) in forma antropomorfica e all’intorno tutto un ambiente similterreno. E così vanno
ancora di pari passo il non vedere più se stessi in alcuna forma e il non vedere più forme
umane e terrene intorno a sé.
A un certo momento l’anima perviene a rendersi conto che non c’è più altro da fare che
intraprendere con decisione un tale cammino ascetico, a meno che tra la vita e la morte non si
voglia rimanere eternamente a metà strada.
Delle guide ho detto quanto mi era possibile nei Colloqui con l’altra dimensione. Posso,
qui, limitarmi a riassumere quella che è la loro missione, il loro peculiare impegno.
Naturalmente esse accolgono nella nuova dimensione le anime appena disincarnate per
confortarle, per aiutarle a prendere coscienza della situazione nuova, per dargli un primo
orientamento, per seguirle invisibilmente.
Esse, poi, assistono invisibilmente le anime in espiazione.
Sono, infine, sempre le guide che, intervenendo in forma visibile nel mondo astrale,
sollecitano le anime a intraprendere il cammino evolutivo.
Mai fanno mancare, anche in seguito, l’esortazione, il consiglio, la correzione opportuna.
Con le guide le anime hanno colloqui individuali e seminari di gruppo. La guida insegna a
meditare, a pregare, ad adorare la Divinità debitamente.
Le anime possono trovare, così, chi le guidi ad ogni livello: sia allo stadio in cui hanno
ancora la forma, sia agli stadi successivi, informali. Si potrà avere bisogno di guide ai vari
stadi della santificazione e, per ultimo, alla stessa resurrezione finale.
Al gradino dell’ascesa spirituale dove siamo giunti ora, ci interessa ribadire che
l’elevazione ha per meta la santificazione. Si tratta, qui, di porre in essere un “uomo nuovo”:
un uomo interamente rinnovato e liberato dalle scorie, dalle imperfezioni, dai difetti, dalle
lacune del corrispondente “uomo vecchio”.
Il “vino nuovo” del perfetto amore di Dio non lo si può immettere e conservare negli “otri
vecchi”, i quali scoppierebbero.
Così, per esprimere il medesimo concetto con un’altra immagine, non è possibile
consolidare veramente il nostro edificio se ci si limita a puntellarlo, a rabberciarlo, a fare
opera di restauro: occorre demolirlo fino alle fondamenta per costruire al suo posto un
edificio interamente rinnovato.
L’intero processo di elevazione si articola perciò in due momenti, che più che alternarsi
danno luogo a due successive fasi. Ci sarà quindi una prima fase negativa di demolizione o
svuotamento della personalità fino al conseguimento di quella che può definirsi una “seconda
morte”, un’autentica “morte iniziatica”. È solo a questo punto che può veramente decollare
una seconda fase positiva di riempimento, di costruzione della personalità nuova.
Ad Ambra chiedo se e quale esperienza ella abbia di Dio: Io ancora no, mi risponde,
perché devo liberarmi dei ricordi, degli affetti, del nome. (È la necessità preliminare della
spoliazione). Dopo verrà il momento del riempimento, della ricchezza, dell’amore divino.
Le chiedo che sorta di meditazione abbia praticato per portare avanti questa prima fase
negativa della propria ascesi. Perdita della forma, la chiama Ambra. Ed io chiedo: “In che
consiste concretamente?” Devi cercare con ogni mezzo di immaginarti senza la forma.
“Proprio in dettaglio, che si fa, per esempio?” Visivamente vedi il tuo corpo astrale
davanti a te e tu ti senti pura energia. “Vuoi dire che bisogna esteriorizzare, cioè proiettare
fuori di se stessi il corpo astrale come se appartenesse a qualcun altro?” Sì, come la tua
immagine nello specchio. Sono tecniche che a volte riescono e altre no. Poi alla fine ti trovi
senza forma. Ma ancora il cammino è lungo ().
Ci sono tecniche di isolamento. Si tratta di darsi una suggestione. La suggestione, in
questo caso, di sentire intorno a sé un silenzio assoluto, come quando ci si trova in cima a un
monte o in una stanza priva di qualsiasi rumore. Per ottenere tutto questo bisogna
perseverare molto a lungo, ci ammonisce la guida Tito ().
Suor Imelde, che al pari di Tonino frequenta un seminario di meditazione diretto da una
guida, illustra altre tecniche simili e complementari anch’esse: l’esteriorizzare la propria
forma come se riflessa da uno specchio, per poi immaginare che divenga sempre più piccola;
suggestionarsi di annullare la propria esistenza via via che si emette il respiro; immaginare
che certi suoni (che magari si percepiscono in atto) disintegrino il proprio esistere ().
Il tuo nome non ha nessuna importanza. Oppure: Tu sei solo energia. È una suggestione
che l’anima può ripetere a se stessa per porre in atto quella che ancora Tonino chiama la
tecnica della dimenticanza del mio nome ().
Alla perdita del nome è associata la perdita di tutti i propri ricordi personali: Se lo spirito è
preso dai continui ricordi terreni, non riesce ad acquistare una profonda spiritualità, spiega
la guida Giuseppe (), alla quale fa eco la guida Sino: Se tu, pur senza corpo, continui con i
ricordi terreni, non riesci ad elevarti ().
Ricordare vuol dire anche mantenere in vita i propri attaccamenti e risentimenti.
Dimenticare perfino quello che si è stati giova assai a smorzare la fiamma così difficilmente
estinguibile di quell’egocentrismo, di quel protagonismo, di quel porre se stessi al centro
dell’universo che è il principale ostacolo a una reale ascesa dello spirito.
È per questo che, come afferma Grande Aria, la perdita dei ricordi è un oblio temporaneo
funzionale alla santità ().
Si tenga ben presente che il dimenticare è solo temporaneo: tutti i ricordi, e quindi anche
tutti i vecchi rapporti e legami affettivi, saranno recuperati alla fine, quando non
rappresenteranno più alcun pericolo per l’ascesa spirituale, ma solo potranno costituirne il
completamento, la necessaria integrazione.
Non è per nulla da concludere che il soggetto debba confidare nella pura tecnica come
tale, cioè esclusivamente nelle proprie forze. Prima ancora che opera dell’uomo, la stessa
purificazione è opera di Dio.
L’anima si fa recettiva a Dio essenzialmente con la preghiera. La preghiera aiuta la
meditazione e deve perciò accompagnarla in ogni sua fase e grado. Dal canto proprio, la
meditazione aiuta la preghiera rendendo via via più intenso il rapporto con Dio ( e ).
A Livia, che pure partecipa a seminari del tipo cennato, chiedo: “Che fate nel ritiro?”
Preghiere, mi risponde, lodi, canti, tecniche, rivolti a Dio. “Le tecniche a qual fine sono
indirizzate?” Per distaccarsi sempre più (). Questo conferma l’importanza dell’invocare
Dio e dell’affidarsi a Lui già dalla prima fase.
Anche le “sette anime dell’antica Roma” con le quali, secondo ogni apparenza, avremmo
avuto comunicazioni per la durata complessiva di un paio di mesi, ci hanno riferito di avere
affidata l’intera loro elevazione, fin dal primo inizio, all’aiuto divino: Viri sapienti ci hanno
spiegato che dovevamo evolvere, dice Proculo. Allora si sono iniziate pratiche devozionali:
agli dèi offerte, canti, danze ().
“Come hai fatto a perdere la forma per entrare in una condizione di puro spirito?” chiedo a
Marco Flavio. i saggi ci iniziarono alle pratiche. “Quali?” Offerte agli dèi, inni, cantici,
danze. “Anche preghiere?” Pensieri di lode alla loro divinità. Mi lasciai andare alla loro
benevolenza: la loro saggezza sapeva i miei bisogni ().
E Lucrezio: Poi guide sapienti mi iniziarono alla nuova vita divina. “Con quali pratiche?”
Abluzioni, offerte, canti e danze. “Che cosa ne hai conseguito?” La dimenticanza della vita
terrena. “E poi...?” E ora continuo per arrivare alla deità ().
Preghiera, preghiera: è una forza insostituibile, esclama Una Intelligente Vibrazione
().
E Turbine osserva: La preghiera è un dono che molti non — scusa la parola — sfruttano
().
E Yale: [Anche la preghiera di voi viventi sulla terra] è utilissima per la nostra
santificazione ().
Al termine della fase ascetica, che con parole non mie ho definito di spoliazione e
svuotamento e di cui ho cercato di dare una qualche idea, al termine di questo primo stadio di
elevazione l’anima che ha tutto perduto, affetti, ricordi, sensazioni, viene a trovarsi in uno
stato mentale non piacevole di aridità. Qui essa prende coscienza del proprio nulla.
Un’entità che soggiorna in quella tappa del proprio cammino spirituale, richiesta di darci
un nome almeno simbolico col quale possiamo distinguerla, replica appunto che possiamo
ben chiamarla Nulla ().
In effetti, come spiegherà Fochino, nell’ultima fase dell’ascesi di spoliazione cioè in
quella dell’aridità si può dire che l’anima è completamente annientata ().
Già nel primo capitolo si accennato a Sincerity, entità femminile americana, che aveva
tanto desiderato e fatto per liberarsi della forma. Come si ricorderà, a un certo punto Sincerity
viene a trovarsi in una condizione mentale caratterizzata da un’atmosfera fredda, da
un’atmosfera umida.
Così come lei la caratterizza, è una condizione mentale dove non vi sono forme. al pari
delle forme umane vi mancano anche quelle animali e vegetali. È una condizione noiosa e
ben poco allegra: Immagina la terra senza uomini, animali e piante.
“In effetti, tu ti sei svuotata delle forme, dei desideri e degli attaccamenti terreni”, cerco di
spiegarle. “È per questo che ti senti così arida. Ma viene il momento che dovrai riempirti
della presenza di Dio e del suo amore: vedrai come ti riscalderai e ti renderai ardente come
una fiamma. Devi solo attendere con fiducia”. Tu mi dai un messaggio che mi conforta,
replica Sincerity ( e ).
Conforto a parte (che fa sempre bene), mi sono chiesto poi se mi ero veramente espresso
nei termini più propri. Qualche giorno dopo ho posto il problema a Debolezza. Come le ho
descritto la situazione di Sincerity, la nuova entità ha osservato: Si passa anche questo. È un
momento di transizione. Ricordava ancora qualcosa di terreno? “Mi pare di sì; ma poco,
penso”. (Ho poi ricordato meglio che in effetti Sincerity mi aveva detto, della propria
esistenza terrestre, che era vissuta nell’Indiana ed era morta nel : nient’altro). Allora non
è ancora completamente distaccata e non è ancora in grado di ricercare il calore divino.
“E quel freddo che cos’è?” domando ancora a Debolezza, che me la definisce l’aridità
dell’anima che si spoglia. “Quando poi le ho consigliato di pregare Dio perché, la riscaldasse
con la fiamma del suo amore e le ho insegnato una preghierina di tre-quattro parole, quel che
si dice una giaculatoria, da ripetere tante volte, ho fatto bene?” Il consiglio è buono, ma lei
non può ancora.
“Ti dico, allora, un’idea che le tue parole mi fanno venire in mente: può essere che quello
sia il ritorno di un’ultima fase di purgatorio per consentirle di purificarsi delle ultime scorie?
Sei d’accordo?” Sì, se lei è ancora legata alla terra ().
A quanto pare, Vuotor (altro nome simbolico chiaramente indicativo) si trova, rispetto a
Sincerity, qualche passo più in là: Sono senza nulla, dice. “Ti sei liberato della forma?” Sì.
“Ricordi se sei stato uomo o donna sulla terra?” No.
“Come senti la presenza di Dio nel tuo intimo?” Sono agli inizi e Dio è nella mia
preghiera continua. “Senti Dio come un fuoco?” No, sono in comunione con Lui, ma fuoco e
ardore devono ancora invadermi. “Abbiamo parlato, un paio di volte, con un’anima che
aveva perduto la forma e si trovava in uno stato di aridità penosa: aveva come il senso che
tutto fosse svuotato e senza vita”. (È con queste parole che, lì per lì, rievoco l’incontro con
Sincerity). Lo sento e mi rende infelice. “Sei, allora, anche tu in uno stato di aridità analogo?”
Sì. “C’è in te sofferenza?” Sì, ma con speranza.
“Sei mai stato in purgatorio, a suo tempo?” Sì, tutti, più a lungo o meno. “Vuotor, mi son
fatto l’idea che l’esperienza della nebbia e questa siano entrambe penose e necessarie per la
purificazione: devono pur avere qualcosa in comune”. La differenza è questa: nella nebbia
soffri la desolazione totale, nello stato di aridità c’è la speranza totale.
“L’esperienza della nebbia è definibile come ‘purgatorio’?” Sì, ma solo in un contesto
cattolico. “E in un contesto meno confessionale e più ecumenico e lato come converrebbe
chiamarla?” Espiazione.
“E la tua esperienza attuale...?” È uno stato di transizione. “Come va designata in maniera
più specifica?” È un’esperienza di aridità.
Che una tale esperienza di aridità sia sulla medesima linea di quella della spoliazione (o
svuotamento), non solo, ma anche di quella che a suo tempo è stata l’esperienza dell’espia-
zione dovrebbe risultare abbastanza chiaro. Tutte e tre, in fondo, svolgono una funzione
analoga: purgare l’anima dalle scorie che l’appesantiscono.
L’aridità, cioè l’esperienza del proprio nulla, è, direi, la conclusione dell’intero processo.
È un’esperienza, quest’ultima, che, vissuta con la massima e più drammatica intensità,
dispone l’anima a cercare in Dio, e in Lui solo, il proprio Tutto, la Sorgente di ogni essere,
valore e pienezza.
Nel primo capitolo si è parimenti accennato a Don Guglielmo, defunto parroco di un
piccolo paese dell’Abruzzo. Pure costui ha trascorso un periodo in purgatorio e si trova ora in
una condizione di paradiso, seppure imperfetta, nelle sfere di luce dove ancora si aggira nella
sua forma similcorporea di vecchio prete di una volta sullo sfondo di un ambiente mentale
similterreno.
Gli chiedo: “Voi anime che vi siete già fatte il vostro purgatorio, se poi vorrete rendervi
più perfette, dovrete passare per ulteriori esperienze di purgazione?” Per condizioni
differenti, è la risposta di Don Guglielmo, come si ricorderà.
A mia volta incalzo con un secondo quesito: “Ripeto per verificare se ho capito bene: mi
dici che, se vorrete salire a perfezione più alta, dovrete avere non più esperienze di purgatorio
in senso stretto (ché quello ve lo siete già fatto), ma esperienze di diverso genere pure
definibili, in senso più lato, come purgatoriali, cioè di purificazione, di smaltimento di
vecchie scorie: giusto?” Sì ().
Chiederò, molto dopo, a Yale: “Ci sono ulteriore fasi di purgatorio, o equivalenti?” Ed
ecco la replica, concisa e pur estremamente significativa, di quest’ultima entità: Finché
l’anima non è santa deve purgarsi dalle imperfezioni ().
In un tale processo di purificazione, tra le varie cose che l’anima si lascia dietro di sé c’è
l’aspetto umano, la forma similcorporea. Tale forma non si viene, però, a perdere tutt’ad un
tratto: c’è una fase intermedia in cui essa va e viene, sparisce e poi ritorna.
Ogni tanto la prendo, confida Allegra. Ma non è il corpo, aggiunge con una nota quasi di
rimpianto ().
Se ti abbassi alla sfera terrestre per comunicare, la forma umana si solidifica, osserva
Romano, vecchio fascista ferventissimo. “Perciò”, gli chiedo, “in questo momento tu hai
l’aspetto umano?” Sì: in camicia nera, naturalmente ().
A Nanda, che mi ha riferito che il suo aspetto va e viene, dico che questo dovrebbe essere
un buon segno: dovrebbe significare che ella si va emancipando dalla forma terrena e sta
divenendo più spirituale. Sì, ma ogni tanto è là, obietta Nanda. “Che cosa: la terra?” chiedo.
“Vuoi dire che ogni tanto l’ambiente astrale torna a rassomigliare alla terra?” Sì ().
“Che fai di bello nel tuo ambiente astrale?” domando a Empedocle, il quale risponde: A
volte vado per le strade, ma a volte non ci sono. “Non ci sono in che senso?” Diventano come
nuvole. “E tu hai l’aspetto umano?” Mentre ci sono le strade, sì. Poi non più (). Questo ci
conferma che tra il vedere se stessi in forma umana e gli altri e le cose e l’intero ambiente
come sulla terra c’è un chiaro e deciso parallelismo.
Un parallelismo analogo, ma a quanto pare meno stretto, meno tassativo, c’è tra il vedere
le forme e il ricordare. Quando mi immergo nei ricordi terreni, confida Giorgio, la mia figura
è come quando ero al mondo. “E in quei momenti qual è il tuo ritratto?” Non alto. Robusto,
ma non troppo. Castano con pizzetto e baffi. (È un uomo del secolo scorso). Aspetto oltre i
. “E a che età sei trapassato?” . “Sicché sei ringiovanito”. Sì. Altre volte non c’è più una
forma, specie dopo ritiri, meditazioni e preghiere ().
Antonio M. ha, sì, ancora l’aspetto umano, però evanescente. “Come hai conseguito un
tale affinamento?” chiedo. Risponde: Preghiere, meditazioni, adorazione ().
Anche l’aspetto di Maila va e viene; ed è perloppiù evanescente, a volte più solido ().
La stessa evanescenza sembra andare di pari passo con la progressiva perdita della
memoria: Piergiacomo ha una forma umana a momenti, poiché, spiega, quando non ricordo
sono più evanescente ().
Le correlazioni enunciate valgono solo nei termini più generali, mentre, di fatto, le
situazioni individuali sono ad ogni momento diverse: può così darsi che un’anima conservi la
forma ed abbia invece perduto tutti i ricordi, o perlomeno la memoria di molte cose, come
Cathy (); così come può anche essere che un’altra anima abbia perduto la forma e tuttavia
conservi tanti ricordi ben vivi, come Arthur ().
Dice, di sé, Noemi: Ora a momenti ricordo, poi no. Vedo le forme, poi più. È un passaggio
alla condizione di pura energia ().
E quando ci si affaccia a questa nuova condizione che cosa si vede, che cosa si percepisce
di nuovo? Sto in un ambiente, ci attesta Allegra, a volte (e qui si ferma pochi attimi, come a
cercare la parola) morbido, ossia soffice, come se mettessi in terra una mano nella spuma del
mare. Tutto il tuo essere è immerso in questa sensazione ().
Allorché lo stadio formale è decisamente superato, l’esperienza cui Allegra si affaccia
diviene qualcosa di permanente, di stabile.
Anzitutto: come sente, come percepisce se stessa l’anima che ha raggiunto la condizione
informale? Un’entità che non si è nominata, ma che comunque si è autodefinita un’anima che
tende alla perfezione, dice di sé: Non ho più terreni e astrali ricordi. Una condizione di pura
energia intelligente sono ().
E un’altra anima, parimenti innominata per temporaneo oblio della propria identità terrena,
alla domanda “Hai perduto la forma?” replica: Sì. Ora sono un’intelligente vibrazione ().
E come percepiscono queste pure intelligenze il loro nuovo ambiente mentale? Come
percepiscono le altre intelligenze? E che tipo di rapporto hanno con queste? Passeremo, ora,
in rassegna una serie di risposte o – forse meglio – i tentativi di dare una risposta che sia in
qualche modo comprensibile. Come dice una terza anima (innominata al pari delle altre due),
si tratta di una condizione di pure sensazioni spirituali che male si esprimono con parole
().
Circa la sua condizione, Bene ci dice: Sono in un’atmosfera rarefatta ().
Goffredo A. definisce la sua sfera senza forma e anche un ambiente mentale che poi passa
a caratterizzare così: Non spazio, non tempo, non luce, non tenebre, ma insieme d’energie
vibranti ().
Scordarello vive in un ambiente dove tutto è aereo. Lo stato è quello delle energie vibranti.
Le emozioni sono espresse con variazioni di energie, i movimenti con variazioni di vibrazioni
().
Veloce Anima sta in un ambiente aereo dove immagini e forme più non sono. Non si
hanno sensazioni, ma vibri alla più vicina per comunicare ().
Non per definire le sua nuova condizione, ma per darne almeno un’idea, Yale adopera due
aggettivi: vaporosa, ovattata. Egli percepisce sensazioni, energie, stati emozionali. Le anime
sono presenze intelligenti ().
Altro tentativo (da parte di altra anima innominata) di dare un’idea della sfera informale: È
un ambiente (ma non è la parola adatta) vaporoso, impalpabile. “Che forme vedi?” è la mia
domanda forse un tantino trabocchetto. Forme no, ma presenze è la risposta pronta e corretta.
“Queste presenze come le percepisci?” In termini terreni diresti che le avverti, le capti, ma è
diverso ().
Ulderico, che non ha raggiunto ancora stabilmente la condizione senza forma, va a visitare
una sfera di questa condizione e così ne parla: Avverti presenze, ma non le vedi. C’è
un’atmosfera rarefatta, musiche e colori. I contatti sono mentali ().
Un’anima che ha perduto la forma se la può ricostituire, all’occasione, temporaneamente,
in maniera da potersi manifestare in una sfera formale o, al limite, anche sulla terra
(apparizioni, materializzazioni). Goffredo A., al quale ho chiesto se abbia ancora il suo
aspetto umano, risponde: Lo prendo se voglio. “E quando assumi un tale aspetto puoi
prendere quello che vuoi o ne prendi uno fisso?” Quello che si vuole è più difficile. Il tuo che
avevi in terra è più semplice. “Hai l’aspetto umano in questo momento?” Sì. “Corrisponde a
quello medesimo che avevi sulla terra?” Sì.
È da notare che, avendo assunto una forma umana, Goffredo vede non solo se stesso ma
anche le cose e le persone che costituiscono l’ambiente terreno dove egli si manifesta. “Che
vedi esattamente?” [Essendo] sospeso vedo un tavolo e due persone. Su mia richiesta egli
descrive poi la nostra casa un po’ in dettaglio ().
“Sei stato un uomo o una donna quando vivevi sulla terra?” chiedo ad Ali (nome
simbolico: plurale di “ala”). Uomo, ma posso essere donna. “In vita terrena eri un uomo?” Sì.
“Che ‘puoi essere donna’ che cosa vuoi dire?” Se vado in una sfera dove ci sono anime che si
sono ricreate un aspetto umano, io posso prendere sembianze femminili ().
Sono di norma le guide che, avendo progredito fino a liberarsi della forma, riassumono
quella più adatta, a seconda delle circostanze, quando scendono nella sfera similterrena ad
accogliere le anime nuove arrivate e più tardi a promuoverne l’elevazione.
La forma scelta dalla guida, specialmente quando accoglie l’anima per la prima volta sulla
soglia dell’altra dimensione, dovrebbe, in linea di principio, corrispondere alle attese del
nuovo disincarnato: c’è chi si aspetta di incontrare un angelo, chi un vecchio saggio, chi un
santo monaco, chi una figura femminile; e la guida fa, anche in questo, del suo meglio.
L’anima che assurge a un’esistenza mentale non più dominata dalla forma realizza, per ciò
stesso, quella che una certa terminologia designa come la “spiritualità”, distinguendola dalla
“santità” che rappresenta un grado ben ulteriore.
Vediamo come la “spiritualità”, intesa in questa accezione, viene distinta dalla condizione
astrale formale. L’entità innominata che si è autodefinita un’intelligente vibrazione così
riassume il suo curriculum: Sono stato a lungo in solitudine per vari peccati terreni. Poi capii
che l’esistenza spirituale non poteva essere quella. Così avvicinai spiriti più elevati, dai quali
appresi le tecniche per migliorare la mia anima ().
Si rilegga la frase: Poi capii che l’esistenza spirituale non poteva essere quella. Vera
“esistenza spirituale” appare, appunto, quella ormai emancipata dalla forma.
continua........
il soggiorno senza fine. Per lei quello è già il paradiso, a differenza che per altre, per cui
quelle esperienze potrebbero solo rappresentare gradini di una scala altissima che si prolunga
molto al di là e che solo all’ultimo, al sommo, adduce al paradiso vero.
Per quanto le guide possano sollecitarla ad elevarsi, quell’anima si sentirà indotta a
resistere il più possibile ad appelli del genere per fare, al contrario, ogni sforzo al fine di
mantenere ad oltranza lo status quo. Non ho voglia di evolvermi, ci confida Sandro. La sfera
mi sta bene, gli amici sono quelli di sempre: ci divertiamo e scherziamo ().
Anche Livia e Titta hanno forti resistenze, come risulta dai lunghi colloqui avuti con me
riportati nei Colloqui con l’altra dimensione, che hanno per protagonista anche Sandro.
Ci sono poi, per fare un altro esempio significativo, le resistenze della Signorina Clorinda,
detta Clory. Sono proprio io a farle il guastafeste, quasi in sostituzione della guida; e la
povera Signorina (con la quale – fatto eccezionalissimo – ci diamo del lei) replica in tono
accorato: Se veramente mi concentro su quello che Lei mi ha detto, allora mi rattristo.
“Gliel’ho detto per il Suo bene”, insisto. E la buona Signorina, che si fa anche lei un po’
furbetta: Ma l’eternità è lunga e senza fine. Subito, però, aggiunge: Ma sia certo, amabile
Professore, che terrò nella debita considerazione il Suo consiglio.
Nel frattempo, però, la Signorina Clory si sta godendo il piacevole soggiorno in una
particolare sfera dove è ricreato l’ambiente di uno stabilimento termale, e per nulla vorrebbe
rinunciarvi. Quindi chiede, con tutto il suo garbo, una dilazione: Posso almeno terminare, se
a Lei non dispiace, il mio soggiorno alle terme? ().
Anche le anime che con le loro comunicazioni alimentano tanta letteratura medianica del
filone spiritualistico anglosassone hanno l’aria di stare a perfetto agio nella loro fetta di
aldilà, che è tutto un panorama di casette di stile inglese con davanti il giardino e dietro il
cortiletto.
Si entra nella hall, da dove una scala con la moquette porta alle camere del piano
superiore, mentre nel salotto a pian terreno accanto al fuoco c’è una teiera con le tazze, i
piattini e il plum-cake, e al tutto fa la guardia un grosso bulldog accucciato accanto al
caminetto, con un occhio semiaperto.
Ci sono, però, anche le anime inglesi dissenzienti, come il già nominato Belive: Io pure ci
sono stato, dice, ma è sgradevole. “Ma agli inglesi piace immensamente questa maniera di
vivere e (perché no?) di sopravvivere così tipicamente e stucchevolmente inglese”. In terra
sì, ma in cielo... “Mi risulta che tante anime inglesi indugiano assai in tale condizione”. O[hJ
sì, non se ne distaccherebbero mai ().
La sfera formale a tanti piace, si è detto, ma non proprio a tutti e sempre. Dice, per
esempio, Nanda: A volte mi pare che tutto proceda bene, altre volte sono scontenta. “Perché
mai?” chiedo. Me ne dà la ragione: Ritorno in ambienti che non vorrei. “Quali?” Quelli dove
ci sono i miei morti. “Perché, non ti piacciono quegli ambienti?” Non così pensavo al mondo
soprannaturale. “Come sono quegli ambienti?” Come quelli della terra ().
Nell’approdare a certe sfere dell’aldilà, anche Piergiacomo le trova fin troppo simili alla
terra e antropomorfiche, e la cosa non è di suo gusto: È un momento un po’ di delusione: ti
aspetti un mondo, diciamo così, di angeli; invece... ().
Anche per Ubaldo è stato un po’ strano: sai, uno non s’immagina che il paradiso sia la
terra (). Non ho trovato il paradiso, attesta Mario, bensì un mondo simile al nostro, e
invece io credevo di trovare il paradiso del catechismo ().
Chi la vuol cotta e chi cruda, si sarebbe tentati di commentare, a sentire Empedocle di
Boville (a pochi chilometri da Frosinone), il quale trapassando ha finito per sistemarsi in una
replica del suo paese amato: facsimile che somiglia, sì, tanto all’originale, ma non
abbastanza.
“Che differenza c’è tra la Boville della terra e quella del cielo?” Meno bella in cielo. “E
come mai?” Beh, manca qualcosa: nun c’è la terra, come ti posso dì. “Puoi spiegarti meglio?
Cos’è che manca esattamente?” Un certo (e qui Empedocle ha fatto pausa, come a cercare le
parole più adatte) rumore, canti, amici. Insomma manca quello che c’è in un paese sulla
terra ().
Si può comprendere come un attaccamento eccessivo alla vita possa ostacolare l’adattarsi
dell’anima alla nuova condizione ultraterrena, specialmente quando una morte prematura
colga un giovane, come suoi dirsi, “così pieno di vita”.
Difficoltà analoghe a inserirsi nel mondo spirituale possono avere i materialisti, diciamo
così, incalliti, al pari degli atei il cui ateismo non sia solo una posizione dottrinale, ma un
modo di sentire e di essere. Ho detto così, semplicemente, a Ubaldo, senza nemmeno sfumare
troppo il discorso: “Ho inteso o letto da qualche parte che agli atei in genere come ai
materialisti non è per nulla facile inserirsi nel mondo spirituale quando trapassano”. Io infatti
sono in un mondo materiale, ha replicato Ubaldo senza pensarci due volte.
“Chi entra nella dimensione spirituale da materialista che genere di difficoltà incontra?” È
difficile l’evoluzione. “Cioè...?” Non è che uno si trovi male, ma resta sempre in un ambiente
terreno e non si evolve, non si spiritualizza ().
“Hai una forma umana?” chiedo a Belive. E lui: Sì, ma non mi piaceva averla ().
Io avevo il complesso del mio corpo, ci confida Iuzza, una grassa madre di famiglia di
Palermo che, trapassando, si è ritrovata nella sfera una replica astrale spietatamente esatta del
suo vecchio corpo obeso. Ora che è riuscita a perdere la forma, Iuzza è felice: si sente libera e
come trasparente ().
Nella dimensione astrale c’è chi per un periodo di tempo si porta la sua forma
similcorporea con scarso piacere e convinzione, e c’è chi non l’ha mai, neanche all’inizio. Io
voglio farti sapere, mi dice Paolo, che ci sono anime come me che non hanno un aspetto
umano.
Come si spiega questa differenza rispetto alle anime che, pur malvolentieri, si portano il
loro aspetto umano anche nell’aldilà? Giova, ogni volta, ritornare a quello che è il principio
dei principi: la vita disincarnata è tutta una creazione mentale. Ora la mente crea secondo le
proprie abitudini, inclinazioni, tendenze anche al livello inconscio, gusti, credenze,
convinzioni.
Questo ci aiuta a capire meglio la spiegazione che ci dà lo stesso Paolo: Avevo sempre
pensato che nel mondo spirituale non ci fossero aspetti terreni: non mi era possibile
immaginare di avere un corpo nell’altro mondo ().
Un’altra anima che non ha ancora assunto alcun aspetto umano simile a quello precedente
sulla terra è la giovane Edith ().
Nemmeno Fievole ha avuto ancora una vita astrale similterrena. Egli è trapassato con le
sue antiche convinzioni reincarnazionistiche, di marca esoteristico-teosofica, perfettamente
convinto di doversi reincarnare immediatamente: Si attende subito una nuova esistenza, mi
dice.
E difatti nemmeno è certo se, richiamandolo dopo due giorni, lo ritroverò nell’altra
dimensione, o se invece potrò incontrarlo di nuovo solo tra qualche anno, con gli occhi a
mandorla, in occasione di un viaggio nel Tibet che farò allora. (Suo vivo desiderio è di
rinascere in un paese orientale. E quale meglio del Tibet, se gli va bene?)
Come suona il titolo di un famoso film, “Il cielo può attendere”: anche per lui. E, quanto a
un corpo astrale similterreno, egli potrà averlo solo alla fine di tutte le reincarnazioni. Coloro
che già lo hanno sono, per lui, spiriti che non ritornano: chi non vuol tornare non ritorna, ma
sono pochi, precisa; sono quelli che una sola esistenza ha appagato ().
Mes è un’altra entità che nega di avere un aspetto umano. “Come mai?” Sono una pura
energia piccola e iniziale, mi dice. E aggiunge: Io non vedo il mio aspetto. Forse c’è, ma io
non ne ho la coscienza. “Ma dopo il trapasso non hai avuto mai una forma?” Non la ricordo,
ma questo sarà dovuto al mio stato.
Si trovava in espiazione; e solo dopo una lunga serie di colloqui, che avevano migliorato
la sua condizione ultraterrena, ci ha confidato che cominciava in qualche modo a vedersi. A
quel punto egli appariva a se stesso come un grosso essere informe, come una sorta di
bozzolo gigante ().
Un’altra anima che dice di non aver mai avuto un corpo astrale similterreno è Salus. Come
spiega questo fatto lui stesso? Io mi sono spogliato delle impurità con lunga ascesi, ricorda.
Per molti anni ho accettato dolori e immobilità. Son parole che, se certamente non spiegano
proprio tutto, suggeriscono forse qualcosa. L’aspetto umano lo si può avere, dice, se lo
desideri. Le entità che lo hanno sono anime attaccate. E l’avere o meno tale forma dipende
condizione, precisa con espressione un po’ telegrafica ().
Quando beninteso lo si ha, perdere l’aspetto umano è naturalmente la prima cosa da fare
per assurgere al livello di un’esistenza spirituale più epurata, più distaccata dalla terra e
perciò di ordine più mentale e spirituale in senso proprio, senza attenuazioni e compromessi.
Un’anima si accorge di avere un aspetto umano e contemporaneamente guardandosi
intorno (per dire così) scorge intorno a sé altre anime con aspetto sempre di uomini e donne
di questa terra, e tutto un paesaggio similterreno, o una strada di città, o l’arredamento
completo di una stanza. Il vedere se stessi in forma e veste umana e il vedere altre anime con
aspetto analogo vanno di pari passo. Così vanno di pari passo lo scorgere anime (inclusi se
medesimi) in forma antropomorfica e all’intorno tutto un ambiente similterreno. E così vanno
ancora di pari passo il non vedere più se stessi in alcuna forma e il non vedere più forme
umane e terrene intorno a sé.
A un certo momento l’anima perviene a rendersi conto che non c’è più altro da fare che
intraprendere con decisione un tale cammino ascetico, a meno che tra la vita e la morte non si
voglia rimanere eternamente a metà strada.
Delle guide ho detto quanto mi era possibile nei Colloqui con l’altra dimensione. Posso,
qui, limitarmi a riassumere quella che è la loro missione, il loro peculiare impegno.
Naturalmente esse accolgono nella nuova dimensione le anime appena disincarnate per
confortarle, per aiutarle a prendere coscienza della situazione nuova, per dargli un primo
orientamento, per seguirle invisibilmente.
Esse, poi, assistono invisibilmente le anime in espiazione.
Sono, infine, sempre le guide che, intervenendo in forma visibile nel mondo astrale,
sollecitano le anime a intraprendere il cammino evolutivo.
Mai fanno mancare, anche in seguito, l’esortazione, il consiglio, la correzione opportuna.
Con le guide le anime hanno colloqui individuali e seminari di gruppo. La guida insegna a
meditare, a pregare, ad adorare la Divinità debitamente.
Le anime possono trovare, così, chi le guidi ad ogni livello: sia allo stadio in cui hanno
ancora la forma, sia agli stadi successivi, informali. Si potrà avere bisogno di guide ai vari
stadi della santificazione e, per ultimo, alla stessa resurrezione finale.
Al gradino dell’ascesa spirituale dove siamo giunti ora, ci interessa ribadire che
l’elevazione ha per meta la santificazione. Si tratta, qui, di porre in essere un “uomo nuovo”:
un uomo interamente rinnovato e liberato dalle scorie, dalle imperfezioni, dai difetti, dalle
lacune del corrispondente “uomo vecchio”.
Il “vino nuovo” del perfetto amore di Dio non lo si può immettere e conservare negli “otri
vecchi”, i quali scoppierebbero.
Così, per esprimere il medesimo concetto con un’altra immagine, non è possibile
consolidare veramente il nostro edificio se ci si limita a puntellarlo, a rabberciarlo, a fare
opera di restauro: occorre demolirlo fino alle fondamenta per costruire al suo posto un
edificio interamente rinnovato.
L’intero processo di elevazione si articola perciò in due momenti, che più che alternarsi
danno luogo a due successive fasi. Ci sarà quindi una prima fase negativa di demolizione o
svuotamento della personalità fino al conseguimento di quella che può definirsi una “seconda
morte”, un’autentica “morte iniziatica”. È solo a questo punto che può veramente decollare
una seconda fase positiva di riempimento, di costruzione della personalità nuova.
Ad Ambra chiedo se e quale esperienza ella abbia di Dio: Io ancora no, mi risponde,
perché devo liberarmi dei ricordi, degli affetti, del nome. (È la necessità preliminare della
spoliazione). Dopo verrà il momento del riempimento, della ricchezza, dell’amore divino.
Le chiedo che sorta di meditazione abbia praticato per portare avanti questa prima fase
negativa della propria ascesi. Perdita della forma, la chiama Ambra. Ed io chiedo: “In che
consiste concretamente?” Devi cercare con ogni mezzo di immaginarti senza la forma.
“Proprio in dettaglio, che si fa, per esempio?” Visivamente vedi il tuo corpo astrale
davanti a te e tu ti senti pura energia. “Vuoi dire che bisogna esteriorizzare, cioè proiettare
fuori di se stessi il corpo astrale come se appartenesse a qualcun altro?” Sì, come la tua
immagine nello specchio. Sono tecniche che a volte riescono e altre no. Poi alla fine ti trovi
senza forma. Ma ancora il cammino è lungo ().
Ci sono tecniche di isolamento. Si tratta di darsi una suggestione. La suggestione, in
questo caso, di sentire intorno a sé un silenzio assoluto, come quando ci si trova in cima a un
monte o in una stanza priva di qualsiasi rumore. Per ottenere tutto questo bisogna
perseverare molto a lungo, ci ammonisce la guida Tito ().
Suor Imelde, che al pari di Tonino frequenta un seminario di meditazione diretto da una
guida, illustra altre tecniche simili e complementari anch’esse: l’esteriorizzare la propria
forma come se riflessa da uno specchio, per poi immaginare che divenga sempre più piccola;
suggestionarsi di annullare la propria esistenza via via che si emette il respiro; immaginare
che certi suoni (che magari si percepiscono in atto) disintegrino il proprio esistere ().
Il tuo nome non ha nessuna importanza. Oppure: Tu sei solo energia. È una suggestione
che l’anima può ripetere a se stessa per porre in atto quella che ancora Tonino chiama la
tecnica della dimenticanza del mio nome ().
Alla perdita del nome è associata la perdita di tutti i propri ricordi personali: Se lo spirito è
preso dai continui ricordi terreni, non riesce ad acquistare una profonda spiritualità, spiega
la guida Giuseppe (), alla quale fa eco la guida Sino: Se tu, pur senza corpo, continui con i
ricordi terreni, non riesci ad elevarti ().
Ricordare vuol dire anche mantenere in vita i propri attaccamenti e risentimenti.
Dimenticare perfino quello che si è stati giova assai a smorzare la fiamma così difficilmente
estinguibile di quell’egocentrismo, di quel protagonismo, di quel porre se stessi al centro
dell’universo che è il principale ostacolo a una reale ascesa dello spirito.
È per questo che, come afferma Grande Aria, la perdita dei ricordi è un oblio temporaneo
funzionale alla santità ().
Si tenga ben presente che il dimenticare è solo temporaneo: tutti i ricordi, e quindi anche
tutti i vecchi rapporti e legami affettivi, saranno recuperati alla fine, quando non
rappresenteranno più alcun pericolo per l’ascesa spirituale, ma solo potranno costituirne il
completamento, la necessaria integrazione.
Non è per nulla da concludere che il soggetto debba confidare nella pura tecnica come
tale, cioè esclusivamente nelle proprie forze. Prima ancora che opera dell’uomo, la stessa
purificazione è opera di Dio.
L’anima si fa recettiva a Dio essenzialmente con la preghiera. La preghiera aiuta la
meditazione e deve perciò accompagnarla in ogni sua fase e grado. Dal canto proprio, la
meditazione aiuta la preghiera rendendo via via più intenso il rapporto con Dio ( e ).
A Livia, che pure partecipa a seminari del tipo cennato, chiedo: “Che fate nel ritiro?”
Preghiere, mi risponde, lodi, canti, tecniche, rivolti a Dio. “Le tecniche a qual fine sono
indirizzate?” Per distaccarsi sempre più (). Questo conferma l’importanza dell’invocare
Dio e dell’affidarsi a Lui già dalla prima fase.
Anche le “sette anime dell’antica Roma” con le quali, secondo ogni apparenza, avremmo
avuto comunicazioni per la durata complessiva di un paio di mesi, ci hanno riferito di avere
affidata l’intera loro elevazione, fin dal primo inizio, all’aiuto divino: Viri sapienti ci hanno
spiegato che dovevamo evolvere, dice Proculo. Allora si sono iniziate pratiche devozionali:
agli dèi offerte, canti, danze ().
“Come hai fatto a perdere la forma per entrare in una condizione di puro spirito?” chiedo a
Marco Flavio. i saggi ci iniziarono alle pratiche. “Quali?” Offerte agli dèi, inni, cantici,
danze. “Anche preghiere?” Pensieri di lode alla loro divinità. Mi lasciai andare alla loro
benevolenza: la loro saggezza sapeva i miei bisogni ().
E Lucrezio: Poi guide sapienti mi iniziarono alla nuova vita divina. “Con quali pratiche?”
Abluzioni, offerte, canti e danze. “Che cosa ne hai conseguito?” La dimenticanza della vita
terrena. “E poi...?” E ora continuo per arrivare alla deità ().
Preghiera, preghiera: è una forza insostituibile, esclama Una Intelligente Vibrazione
().
E Turbine osserva: La preghiera è un dono che molti non — scusa la parola — sfruttano
().
E Yale: [Anche la preghiera di voi viventi sulla terra] è utilissima per la nostra
santificazione ().
Al termine della fase ascetica, che con parole non mie ho definito di spoliazione e
svuotamento e di cui ho cercato di dare una qualche idea, al termine di questo primo stadio di
elevazione l’anima che ha tutto perduto, affetti, ricordi, sensazioni, viene a trovarsi in uno
stato mentale non piacevole di aridità. Qui essa prende coscienza del proprio nulla.
Un’entità che soggiorna in quella tappa del proprio cammino spirituale, richiesta di darci
un nome almeno simbolico col quale possiamo distinguerla, replica appunto che possiamo
ben chiamarla Nulla ().
In effetti, come spiegherà Fochino, nell’ultima fase dell’ascesi di spoliazione cioè in
quella dell’aridità si può dire che l’anima è completamente annientata ().
Già nel primo capitolo si accennato a Sincerity, entità femminile americana, che aveva
tanto desiderato e fatto per liberarsi della forma. Come si ricorderà, a un certo punto Sincerity
viene a trovarsi in una condizione mentale caratterizzata da un’atmosfera fredda, da
un’atmosfera umida.
Così come lei la caratterizza, è una condizione mentale dove non vi sono forme. al pari
delle forme umane vi mancano anche quelle animali e vegetali. È una condizione noiosa e
ben poco allegra: Immagina la terra senza uomini, animali e piante.
“In effetti, tu ti sei svuotata delle forme, dei desideri e degli attaccamenti terreni”, cerco di
spiegarle. “È per questo che ti senti così arida. Ma viene il momento che dovrai riempirti
della presenza di Dio e del suo amore: vedrai come ti riscalderai e ti renderai ardente come
una fiamma. Devi solo attendere con fiducia”. Tu mi dai un messaggio che mi conforta,
replica Sincerity ( e ).
Conforto a parte (che fa sempre bene), mi sono chiesto poi se mi ero veramente espresso
nei termini più propri. Qualche giorno dopo ho posto il problema a Debolezza. Come le ho
descritto la situazione di Sincerity, la nuova entità ha osservato: Si passa anche questo. È un
momento di transizione. Ricordava ancora qualcosa di terreno? “Mi pare di sì; ma poco,
penso”. (Ho poi ricordato meglio che in effetti Sincerity mi aveva detto, della propria
esistenza terrestre, che era vissuta nell’Indiana ed era morta nel : nient’altro). Allora non
è ancora completamente distaccata e non è ancora in grado di ricercare il calore divino.
“E quel freddo che cos’è?” domando ancora a Debolezza, che me la definisce l’aridità
dell’anima che si spoglia. “Quando poi le ho consigliato di pregare Dio perché, la riscaldasse
con la fiamma del suo amore e le ho insegnato una preghierina di tre-quattro parole, quel che
si dice una giaculatoria, da ripetere tante volte, ho fatto bene?” Il consiglio è buono, ma lei
non può ancora.
“Ti dico, allora, un’idea che le tue parole mi fanno venire in mente: può essere che quello
sia il ritorno di un’ultima fase di purgatorio per consentirle di purificarsi delle ultime scorie?
Sei d’accordo?” Sì, se lei è ancora legata alla terra ().
A quanto pare, Vuotor (altro nome simbolico chiaramente indicativo) si trova, rispetto a
Sincerity, qualche passo più in là: Sono senza nulla, dice. “Ti sei liberato della forma?” Sì.
“Ricordi se sei stato uomo o donna sulla terra?” No.
“Come senti la presenza di Dio nel tuo intimo?” Sono agli inizi e Dio è nella mia
preghiera continua. “Senti Dio come un fuoco?” No, sono in comunione con Lui, ma fuoco e
ardore devono ancora invadermi. “Abbiamo parlato, un paio di volte, con un’anima che
aveva perduto la forma e si trovava in uno stato di aridità penosa: aveva come il senso che
tutto fosse svuotato e senza vita”. (È con queste parole che, lì per lì, rievoco l’incontro con
Sincerity). Lo sento e mi rende infelice. “Sei, allora, anche tu in uno stato di aridità analogo?”
Sì. “C’è in te sofferenza?” Sì, ma con speranza.
“Sei mai stato in purgatorio, a suo tempo?” Sì, tutti, più a lungo o meno. “Vuotor, mi son
fatto l’idea che l’esperienza della nebbia e questa siano entrambe penose e necessarie per la
purificazione: devono pur avere qualcosa in comune”. La differenza è questa: nella nebbia
soffri la desolazione totale, nello stato di aridità c’è la speranza totale.
“L’esperienza della nebbia è definibile come ‘purgatorio’?” Sì, ma solo in un contesto
cattolico. “E in un contesto meno confessionale e più ecumenico e lato come converrebbe
chiamarla?” Espiazione.
“E la tua esperienza attuale...?” È uno stato di transizione. “Come va designata in maniera
più specifica?” È un’esperienza di aridità.
Che una tale esperienza di aridità sia sulla medesima linea di quella della spoliazione (o
svuotamento), non solo, ma anche di quella che a suo tempo è stata l’esperienza dell’espia-
zione dovrebbe risultare abbastanza chiaro. Tutte e tre, in fondo, svolgono una funzione
analoga: purgare l’anima dalle scorie che l’appesantiscono.
L’aridità, cioè l’esperienza del proprio nulla, è, direi, la conclusione dell’intero processo.
È un’esperienza, quest’ultima, che, vissuta con la massima e più drammatica intensità,
dispone l’anima a cercare in Dio, e in Lui solo, il proprio Tutto, la Sorgente di ogni essere,
valore e pienezza.
Nel primo capitolo si è parimenti accennato a Don Guglielmo, defunto parroco di un
piccolo paese dell’Abruzzo. Pure costui ha trascorso un periodo in purgatorio e si trova ora in
una condizione di paradiso, seppure imperfetta, nelle sfere di luce dove ancora si aggira nella
sua forma similcorporea di vecchio prete di una volta sullo sfondo di un ambiente mentale
similterreno.
Gli chiedo: “Voi anime che vi siete già fatte il vostro purgatorio, se poi vorrete rendervi
più perfette, dovrete passare per ulteriori esperienze di purgazione?” Per condizioni
differenti, è la risposta di Don Guglielmo, come si ricorderà.
A mia volta incalzo con un secondo quesito: “Ripeto per verificare se ho capito bene: mi
dici che, se vorrete salire a perfezione più alta, dovrete avere non più esperienze di purgatorio
in senso stretto (ché quello ve lo siete già fatto), ma esperienze di diverso genere pure
definibili, in senso più lato, come purgatoriali, cioè di purificazione, di smaltimento di
vecchie scorie: giusto?” Sì ().
Chiederò, molto dopo, a Yale: “Ci sono ulteriore fasi di purgatorio, o equivalenti?” Ed
ecco la replica, concisa e pur estremamente significativa, di quest’ultima entità: Finché
l’anima non è santa deve purgarsi dalle imperfezioni ().
In un tale processo di purificazione, tra le varie cose che l’anima si lascia dietro di sé c’è
l’aspetto umano, la forma similcorporea. Tale forma non si viene, però, a perdere tutt’ad un
tratto: c’è una fase intermedia in cui essa va e viene, sparisce e poi ritorna.
Ogni tanto la prendo, confida Allegra. Ma non è il corpo, aggiunge con una nota quasi di
rimpianto ().
Se ti abbassi alla sfera terrestre per comunicare, la forma umana si solidifica, osserva
Romano, vecchio fascista ferventissimo. “Perciò”, gli chiedo, “in questo momento tu hai
l’aspetto umano?” Sì: in camicia nera, naturalmente ().
A Nanda, che mi ha riferito che il suo aspetto va e viene, dico che questo dovrebbe essere
un buon segno: dovrebbe significare che ella si va emancipando dalla forma terrena e sta
divenendo più spirituale. Sì, ma ogni tanto è là, obietta Nanda. “Che cosa: la terra?” chiedo.
“Vuoi dire che ogni tanto l’ambiente astrale torna a rassomigliare alla terra?” Sì ().
“Che fai di bello nel tuo ambiente astrale?” domando a Empedocle, il quale risponde: A
volte vado per le strade, ma a volte non ci sono. “Non ci sono in che senso?” Diventano come
nuvole. “E tu hai l’aspetto umano?” Mentre ci sono le strade, sì. Poi non più (). Questo ci
conferma che tra il vedere se stessi in forma umana e gli altri e le cose e l’intero ambiente
come sulla terra c’è un chiaro e deciso parallelismo.
Un parallelismo analogo, ma a quanto pare meno stretto, meno tassativo, c’è tra il vedere
le forme e il ricordare. Quando mi immergo nei ricordi terreni, confida Giorgio, la mia figura
è come quando ero al mondo. “E in quei momenti qual è il tuo ritratto?” Non alto. Robusto,
ma non troppo. Castano con pizzetto e baffi. (È un uomo del secolo scorso). Aspetto oltre i
. “E a che età sei trapassato?” . “Sicché sei ringiovanito”. Sì. Altre volte non c’è più una
forma, specie dopo ritiri, meditazioni e preghiere ().
Antonio M. ha, sì, ancora l’aspetto umano, però evanescente. “Come hai conseguito un
tale affinamento?” chiedo. Risponde: Preghiere, meditazioni, adorazione ().
Anche l’aspetto di Maila va e viene; ed è perloppiù evanescente, a volte più solido ().
La stessa evanescenza sembra andare di pari passo con la progressiva perdita della
memoria: Piergiacomo ha una forma umana a momenti, poiché, spiega, quando non ricordo
sono più evanescente ().
Le correlazioni enunciate valgono solo nei termini più generali, mentre, di fatto, le
situazioni individuali sono ad ogni momento diverse: può così darsi che un’anima conservi la
forma ed abbia invece perduto tutti i ricordi, o perlomeno la memoria di molte cose, come
Cathy (); così come può anche essere che un’altra anima abbia perduto la forma e tuttavia
conservi tanti ricordi ben vivi, come Arthur ().
Dice, di sé, Noemi: Ora a momenti ricordo, poi no. Vedo le forme, poi più. È un passaggio
alla condizione di pura energia ().
E quando ci si affaccia a questa nuova condizione che cosa si vede, che cosa si percepisce
di nuovo? Sto in un ambiente, ci attesta Allegra, a volte (e qui si ferma pochi attimi, come a
cercare la parola) morbido, ossia soffice, come se mettessi in terra una mano nella spuma del
mare. Tutto il tuo essere è immerso in questa sensazione ().
Allorché lo stadio formale è decisamente superato, l’esperienza cui Allegra si affaccia
diviene qualcosa di permanente, di stabile.
Anzitutto: come sente, come percepisce se stessa l’anima che ha raggiunto la condizione
informale? Un’entità che non si è nominata, ma che comunque si è autodefinita un’anima che
tende alla perfezione, dice di sé: Non ho più terreni e astrali ricordi. Una condizione di pura
energia intelligente sono ().
E un’altra anima, parimenti innominata per temporaneo oblio della propria identità terrena,
alla domanda “Hai perduto la forma?” replica: Sì. Ora sono un’intelligente vibrazione ().
E come percepiscono queste pure intelligenze il loro nuovo ambiente mentale? Come
percepiscono le altre intelligenze? E che tipo di rapporto hanno con queste? Passeremo, ora,
in rassegna una serie di risposte o – forse meglio – i tentativi di dare una risposta che sia in
qualche modo comprensibile. Come dice una terza anima (innominata al pari delle altre due),
si tratta di una condizione di pure sensazioni spirituali che male si esprimono con parole
().
Circa la sua condizione, Bene ci dice: Sono in un’atmosfera rarefatta ().
Goffredo A. definisce la sua sfera senza forma e anche un ambiente mentale che poi passa
a caratterizzare così: Non spazio, non tempo, non luce, non tenebre, ma insieme d’energie
vibranti ().
Scordarello vive in un ambiente dove tutto è aereo. Lo stato è quello delle energie vibranti.
Le emozioni sono espresse con variazioni di energie, i movimenti con variazioni di vibrazioni
().
Veloce Anima sta in un ambiente aereo dove immagini e forme più non sono. Non si
hanno sensazioni, ma vibri alla più vicina per comunicare ().
Non per definire le sua nuova condizione, ma per darne almeno un’idea, Yale adopera due
aggettivi: vaporosa, ovattata. Egli percepisce sensazioni, energie, stati emozionali. Le anime
sono presenze intelligenti ().
Altro tentativo (da parte di altra anima innominata) di dare un’idea della sfera informale: È
un ambiente (ma non è la parola adatta) vaporoso, impalpabile. “Che forme vedi?” è la mia
domanda forse un tantino trabocchetto. Forme no, ma presenze è la risposta pronta e corretta.
“Queste presenze come le percepisci?” In termini terreni diresti che le avverti, le capti, ma è
diverso ().
Ulderico, che non ha raggiunto ancora stabilmente la condizione senza forma, va a visitare
una sfera di questa condizione e così ne parla: Avverti presenze, ma non le vedi. C’è
un’atmosfera rarefatta, musiche e colori. I contatti sono mentali ().
Un’anima che ha perduto la forma se la può ricostituire, all’occasione, temporaneamente,
in maniera da potersi manifestare in una sfera formale o, al limite, anche sulla terra
(apparizioni, materializzazioni). Goffredo A., al quale ho chiesto se abbia ancora il suo
aspetto umano, risponde: Lo prendo se voglio. “E quando assumi un tale aspetto puoi
prendere quello che vuoi o ne prendi uno fisso?” Quello che si vuole è più difficile. Il tuo che
avevi in terra è più semplice. “Hai l’aspetto umano in questo momento?” Sì. “Corrisponde a
quello medesimo che avevi sulla terra?” Sì.
È da notare che, avendo assunto una forma umana, Goffredo vede non solo se stesso ma
anche le cose e le persone che costituiscono l’ambiente terreno dove egli si manifesta. “Che
vedi esattamente?” [Essendo] sospeso vedo un tavolo e due persone. Su mia richiesta egli
descrive poi la nostra casa un po’ in dettaglio ().
“Sei stato un uomo o una donna quando vivevi sulla terra?” chiedo ad Ali (nome
simbolico: plurale di “ala”). Uomo, ma posso essere donna. “In vita terrena eri un uomo?” Sì.
“Che ‘puoi essere donna’ che cosa vuoi dire?” Se vado in una sfera dove ci sono anime che si
sono ricreate un aspetto umano, io posso prendere sembianze femminili ().
Sono di norma le guide che, avendo progredito fino a liberarsi della forma, riassumono
quella più adatta, a seconda delle circostanze, quando scendono nella sfera similterrena ad
accogliere le anime nuove arrivate e più tardi a promuoverne l’elevazione.
La forma scelta dalla guida, specialmente quando accoglie l’anima per la prima volta sulla
soglia dell’altra dimensione, dovrebbe, in linea di principio, corrispondere alle attese del
nuovo disincarnato: c’è chi si aspetta di incontrare un angelo, chi un vecchio saggio, chi un
santo monaco, chi una figura femminile; e la guida fa, anche in questo, del suo meglio.
L’anima che assurge a un’esistenza mentale non più dominata dalla forma realizza, per ciò
stesso, quella che una certa terminologia designa come la “spiritualità”, distinguendola dalla
“santità” che rappresenta un grado ben ulteriore.
Vediamo come la “spiritualità”, intesa in questa accezione, viene distinta dalla condizione
astrale formale. L’entità innominata che si è autodefinita un’intelligente vibrazione così
riassume il suo curriculum: Sono stato a lungo in solitudine per vari peccati terreni. Poi capii
che l’esistenza spirituale non poteva essere quella. Così avvicinai spiriti più elevati, dai quali
appresi le tecniche per migliorare la mia anima ().
Si rilegga la frase: Poi capii che l’esistenza spirituale non poteva essere quella. Vera
“esistenza spirituale” appare, appunto, quella ormai emancipata dalla forma.
continua........
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