mercoledì 26 gennaio 2011

II trapasso delle anime all’altra dimensione e la purificazione dalle scorie terrene

Quale cammino ci attende nelle sfere dell’aldilà dopo la morte fisica? Per delineare l’iter
delle anime nell’altra dimensione giova, anzitutto, parlare delle esperienze che si hanno al
trapasso.
Per quale mezzo riusciamo ad attingere informazioni di tal genere? Certe esperienze
possiamo compierle osservando quel che avviene al di fuori di noi; altre, vivendole nel nostro
intimo.
Ci sono le testimonianze di veggenti, i quali hanno assistito qualcuno che stava morendo
ed hanno visto, come dire, una sostanza eterea che usciva dal corpo fisico e prendeva forma
al di sopra di esso.
Quale forma? All’incirca, sferica; oppure simile a quella di una nuvoletta; o anche simile a
quella del corpo fisico del morente e dello stesso abito che è solito indossare, o che in quel
momento indossa.
Il sensitivo può anche scorgere altre forme umane, del pari evanescenti. E così le
interpreta: sarebbero anime care a chi trapassa, che vengono come a riceverlo sulla soglia
della dimensione dove egli sta per entrare. A volte il sensitivo scorge il doppio astrale di chi
muore che, guidato da quest’anima, o da queste anime, già trapassate da tempo, si innalza e
infine scompare.
Un tale processo può essere visualizzato da chi abbia doti particolari di veggenza, o può
anch’essere vissuto in prima persona e attestato. Vediamo da quali soggetti.
Un vivente può avere esperienze simili a quella del trapasso. In prima persona può vivere
un processo di disincarnazione incipiente, dalla quale fa ritorno. È il caso delle cosiddette
esperienze fuori del corpo e, ancora, delle esperienze di premorte. Consideriamo le prime. Un
soggetto si sente proiettato fuori del corpo fisico. Vede il corpo a distanza, come se fosse non
più suo proprio ma di qualcun altro.
Identifica se stesso in una forma eterea che non sempre ha, ma può avere la medesima
forma del corpo, abbigliamento incluso. Si muove liberamente ed ha varie avventure, sulle
quali non potrei fermarmi senza uscire dal tema.
Le esperienze di premorte rappresentano un passo ulteriore verso l’altra dimensione,
poiché il soggetto ha l’impressione di entrarvi e non semplicemente di trattenersi in ambienti
di questa terra. Incontra anime care, già disincarnate, che gli si manifestano in un ambiente
astrale che può rassomigliare a quelli del mondo terreno, per quanto appaiano più luminosi.
Anche nei sogni che facciamo ogni notte, noi viviamo situazioni similterrene. E questo si
spiega col perdurare delle nostre abitudini mentali, per cui difficilmente riusciamo a
immaginare situazioni di vita dove non ci siano figure umane, o animali, o vegetali, o luoghi,
o magari anche strade e case coi loro interni.
Sono soprattutto da considerare le testimonianze medianiche dei trapassati. Un famoso
libro di Ernesto Bozzano è intitolato La crisi della morte nelle descrizioni dei defunti
comunicanti. Raccoglie trenta casi dalla letteratura medianica. Ho svolto anch’io un’analisi
comparata nel libro Le esperienze di confine e la vita dopo la morte (Edizioni Mediterranee).
Ho, poi, riferito di esperienze nostre di prima mano in Colloqui con l’altra dimensione e in
Sopravvivenza e vita eterna (sempre delle Mediterranee) oltre che in Eternità e in Sette anime
dell’antica Roma (Reverdito) e in vari Quaderni della Speranza (pubblicati dal Convivio).
Certo le personalità medianiche appaiono, come dire, un po’ fantomatiche rispetto ai
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viventi che ben conosciamo, di cui siamo abbastanza in grado di valutare l’equilibrio mentale
e la veridicità. Le variazioni sul tema, come dicono i musicisti, sono tante; comunque
possiamo concludere che le testimonianze di questi presunti trapassati si confermano tra loro
in maniera significativa ed appaiono sulla medesima linea di quelle dei viventi che si
proiettano fuori dal corpo, oppure attraversano uno stato di morte clinica da cui tornano
indietro o per una reazione spontanea dell’organismo, o perché sottoposti a terapia intensiva
nel reparto di rianimazione di un ospedale.
Premesso tutto questo, produrrò testimonianze di defunti, o supposti tali, che hanno
comunicato nel nostro gruppo sperimentale del Convivio in Roma.
Dette comunicazioni hanno avuto luogo mediante la cosiddetta telescrittura. Due persone
appoggiano ciascuna l’indice e il medio su un bicchierino, o piattino, leggero e trasparente,
che scorre su un tabellone quadrettato fermandosi via via sulle lettere segnate sulle diverse
caselle e componendo così parole, frasi e anche discorsi.
In genere sono io a interloquire con l’entità, mentre è mia moglie Bettina che agisce più da
medium fornendo le energie psichiche necessarie. Ma di buoni soggetti psichici ne abbiamo
avuti e ne abbiamo diversi.
Veniamo agli esempi. Cominciamo da Livia, una signorina nata a Trieste e ivi deceduta
all’età di trentotto anni durante l’occupazione germanica. Avevo una febbre altissima,
racconta quest’anima. Deliravo. Mamma era vicina e mi metteva pezz[u]ole bagnate sulla
fronte. Ai piedi del letto vedevo tante ombre, ma non ne riconoscevo nessuna.
Poi, all’improvviso, il mio corpo correva dentro un tunnel. Si tratta ovviamente del
“doppio” astrale. Spiega Livia: In realtà ero morta e quello che correva non era il corpo, ma
l’anima. La corsa era affannosa.
Poi, alla fine del tunnel, un prato verdissimo. Musica soave e canti. Io mi sono incam-
minata per raggiungerli, ma non arrivavo mai. Allora mi ha preso una specie di angoscia.
Allora mi sono messa a correre, a gridare, ma non c’era nessuno.
Alla fine, racconta Livia, disperata mi sono seduta ed è apparso un angelo. “Con le ali?”
chiedo. Senza. Mi ha spiegato che lui non era un angelo, ma una guida venuta ad informarmi
sul mio nuovo stato. Poi mi ha detto che avrei dormito. “E così, poi, hai fatto un lungo sonno
per recuperare le energie stremate dalla malattia?” Sì: lo hai detto tu.
“Hai avuto visioni durante quel sonno?” Terrene: mia madre in lacrime. “Hai visto il tuo
funerale?” No: la sua solitudine. “E i tuoi fratelli e sorelle...?” Meno: chi ha famiglia non
sente la solitudine.
“Come è stato il risveglio dal tuo sonno rigeneratore?” Molto piacevole. “Al tuo risveglio
chi hai incontrato?” La nonna materna, che avevo visto poche volte. “E dopo, in sintesi, che è
avvenuto?” Ho vissuto e vivo in un mondo mentale simile a quello lasciato (Verbale della
comunicazione n. 52).
Un secondo caso è quello di Antonio C., detto Gill. Osservo per inciso che spesso le anime
ci danno, oltre al nome, anche il cognome che avrebbero avuto in vita terrena. Nomi e
cognomi e altri dati biografici possono essere fittizi: possono venirci per una creazione
mentale spontanea, senza che l’anima si accorga di averci fornito dati inesatti.
Antonio, figlio di un agricoltore umbro, non aveva alcun impiego, ma scriveva articoli
storico-anedottici per giornali di provincia, soddisfatto del suo ruolo di letterato di casa e
giovane di belle speranze a vita. Ha preso il tifo all’età di quarantacinque anni e ne è morto,
dopo essere stato vanamente curato in famiglia.
Mio padre, racconta il nostro nuovo amico, fece venire professori da non so quante città.
“Posso immaginare il suo stato d’animo”, soggiungo io. Un dramma. Ero il suo orgoglio: sai,
un agricoltore che vede il figlio fare articoli. “Sarà quasi impazzito”, dico, “dalle ansie, dal
dolore”. Sì. Lui mi portava in punta di piedi la limonata fresca. Ha fatto intere nottate su una
poltrona.
Al letto c’era un ragazzetto che non conoscevo e, devo dire, m’infastidiva. E pensavo.
‘Guarda, ora vengono anche gli estranei’. Poi in questa dimensione l’ho incontrato: era un
mio cuginetto morto a 4 anni e poi cresciuto qui. “Quanti anni dimostrava all’aspetto quando
l’hai incontrato da defunto?” chiedo ad Antonio. 13. È stata per me una sorpresa. I bambini
crescono e i vecchi ringiovaniscono. (I numeri sono venuti scritti in cifre).
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“Questa che tu mi dai ora è l’ennesima conferma di cose che già mi erano più che note”,
replico io. “Il bambino matura sempre più”, aggiungo, “anche nella tua dimensione: questo
suo ‘crescere’ in senso spirituale trova una sorta di espressione simbolica nel crescere del suo
aspetto umano, cioè di quella forma umana consueta che voi disincarnati mantenete in genere
nei primi stadi, come tu sai meglio di me. Dal canto suo il vecchio si ritempra e ringiovanisce
sempre più; anche questo si esprime in una trasformazione dell’immagine che via via
ringiovanisce anch’essa”. Ma io da vivo non lo sapevo, è la replica di Antonio.
“Dopo il tuo trapasso al mondo spirituale hai incontrato una guida?” Quella appena
arrivato. “Era quindi là ad accoglierti”. Sai, un po’ simile a un domenicano col cappuccio in
testa. “E poi hai dormito?” Il sonno è per riacquistare le energie che la malattia fisica ha
distrutto.
Una volta ritemprato dal sonno, Antonio ha dovuto, poi, liberarsi di certe scorie terrene; ha
dovuto attraversare un periodo di purificazione interiore certamente salutare ma, ahimè, poco
piacevole: una sorta di purgatorio.
“Sei stato in purgatorio?” chiedo a lui esplicitamente. Risponde: Sì. “Puoi descriverci
quell’esperienza?” Sei confinato in un ambiente desolato. “E lì che si fa?” Sei privo di
contatti con altri e hai tutto il tempo di far scorrere gli avvenimenti negativi della vita
terrena. Ti si offre la possibilità di un ravvedimento. “Quanto ti è parso durasse quel periodo
di purgazione?” Un po’ lungo. “Ma che cosa avevi fatto, se non sono indiscreto, che dovesse
venire scontato o smaltito in quella maniera?” Sai, una vita un po’ inutile, senza prese di
posizione o slanci altruistici.
“E adesso che fai?” chiedo di nuovo ad Antonio, che mi confessa: Ora sono ancora poco
preparato per affrontare l’elevazione spirituale. Quella sua rimane, per il momento, una
situazione statica. Egli prolunga il soggiorno in una condizione ancora dominata dalla forma.
Si aggira in un mondo astrale similterreno col suo attuale aspetto di uomo sulla trentina,
poiché è ringiovanito, alto, slanciato e, scusa la vanità, mi dice ancora, un po’ dandy, col suo
abito di lino bianco e la sua camicia azzurra con cravatta a farfalla (C. 169).
Ecco una morte in guerra: è quella di Opierto, di Siviglia, operaio e poi miliziano nella
Guerra Civil, caduto nel 1936 vicino a Madrid, che in effetti venne attaccata dai nemici
franchisti in quell’anno ma resistette fino al 1939.
Io morto in esplosione, dice Opierto nel suo italiano stentato che denuncia una certa
difficoltà di comunicare in una lingua non sua. Alle anime che non conobbero mai la lingua
italiana io suggerisco di limitarsi a formulare puri pensieri, che verranno a tradursi
automaticamente in un discorso italiano per il semplice fatto di passare attraverso la psiche di
noi soggetti umani della comunicazione. Ma una tale tecnica non sempre viene seguita o non
sempre riesce a ingranare nella maniera adeguata.
“Che cos’è esploso?” chiedo. Precisa Opierto: Bomba mortaio. “Che ricordi in partico-
lare?” Un combattimento. Tanti morti. Vera strage per arrivare città. (Cioè: perché i
franchisti riuscissero alfine ad entrarvi). “Che ti è successo dopo la morte?” Rimasto diso-
rientato: non più corpo. Compagni addolorati, continua Opierto nel suo linguaggio tele-
grafico. Poi risucchiato in un vortice. Poi pace e silenzio. non più spari. Si noti che questa
esperienza di essere come risucchiati ricorre molto e si associa in genere con quella del
famoso tunnel, al cui termine ci si ritrova in un luogo luminoso.
“E poi...?” Un bianco essere mi ha accolto e spiegato mio stato. “Vedevi il suo viso?” No.
“E poi...?” Periodo di riposo. “E al risveglio...?” Miei parenti mi hanno accolto in loro casa
(148). Si tratta, chiaramente, di una casa astrale, che è stata creata dal pensiero di chi è ancora
attaccato a questo tipo di abitudini mentali ed ha bisogno di una casa non certo per ripararsi
dalle intemperie ma per il semplice bisogno psicologico di... sentirsi a casa propria.
L’essere di luce che accoglie l’anima appena arrivata all’altra dimensione può presentarsi
come una luce senza forma; o come una forma umana luminosa di cui non si scorgano le
sembianze; o come un giovane biancovestito, o come un angelo alato; o come un vecchio
saggio; o come un santo, non importa se senza aureola; o, semplicemente, come un vecchio.
Un esempio di quest’ultimo caso è quello di Lulù, sciantosa napoletana, cui appare un
vecchio, ma non cadente, vestito semplice, forse una veste lunga chiara. “Era luminoso?” Sì,
un po’. Era bonario. Mi aveva letto tutti i dubbi. lo gli ho chiesto: ‘Sei un chiromante?’ Lui
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mi ha sorriso e mi ha detto: ‘Figlia mia, ora sei in un mondo di verità’ (121).
È significativa la reazione spontanea della donna, che si meraviglia che il vecchio le legga
il pensiero e allora gli chiede se sia un chiromante, con termine di paragone che assume dalla
propria esperienza di persona semplice che va a farsi leggere la mano.
A volte l’essere di luce può essere una persona di famiglia. Così Demetrio, sardo di Olbia,
ha incontrato la nonna. La raffigurazione che ne dà di quando l’aveva vista da viva sulla terra
e di come l’ha poi riveduta nell’altra dimensione è troppo gustosa perché io non soccomba
alla tentazione di riportare il confronto. In vita, ricorda Demetrio, era una vecchia piccola
piccola sempre tutta vestita di nero con un’ampia gonna lunga fino alle caviglie, con in testa
un fazzoletto tutto nero che le lasciava libero solo l’ovale del volto. Era per me uno strano
personaggio. Pensa che non sono mai riuscito a vedere i suoi capelli. Su questo fantasticavo
molto. Ho pensato perfino che fosse tutta pelata. “E dopo la morte come ti è apparsa?” Se
non me lo diceva lei, non l’avrei riconosciuta. Era più giovane. Aveva un vestito allegro tutto
fiori e meravigliosi capelli neri tutti ondulati (118).
Da ricerche portate avanti da altri studiosi risulta che, in un paese poniamo come l’India,
l’essere di luce potrebbe presentarsi come una divinità, cui l’anima che trapassa sia stata
particolarmente devota. Ma in un contesto cristiano potrebbe essere – perché no? – lo stesso
Gesù Cristo o la Madonna o un santo protettore.
L’incontro con l’essere di luce può associarsi alla visione panoramica dell’intera esistenza
che l’anima trapassante ha vissuto su questa terra. Racconta Artemio che negli attimi
immediati che hanno seguito il suo decesso ha visto tutte le cattive azioni. Così descrive quel
che ha visto: Erano tante sequenze di tutta la vita, ma quando si veniva all’azione poco
onesta si vedeva al rallentatore e mi sentivo a disagio. Si tratta qui, spiega, di visioni mentali,
nelle quali ti senti immerso. Ed invero è terribile quando l’azione non è buona.
Chiedo ad Artemio se, dopo quell’esperienza poco gradevole, egli abbia incontrato
qualcuno. Dice di avere visto, subito dopo, un sapiente. E così caratterizza il loro colloquio,
fatto non di parole, sibbene di un puro scambio di pensieri: Non aveva, però, l’aria di volermi
sgridare, ma mentalmente mi ha comunicato il suo desiderio di voler insieme analizzare gli
aspetti meno piacevoli della mia esistenza terrena. È iniziato una specie di colloquio solo dei
momenti meno felici. E ti rendi conto che hai sbagliato (123).
Altre volte la visione della vita trascorsa in terra ha luogo nel corso del sonno rigeneratore,
come accade a Valérie: Ebbi un lungo sonno, una visione rapida della mia vita terrena con le
azioni buone e cattive (238). Attesta François: Nel sonno hai momenti di incubo (163).
Il trapasso, di norma, è dolce. Tanti sono spaventati dall’idea di dovere morire, anche
perché ricordano l’agonia di certe persone cui gli è stato dato di assistere. Si ha l’impressione
di una lotta spaventosa. Ma in realtà è il corpo che soffre, non l’anima al livello della
coscienza. Per quanto possa essere preceduto dalle sofferenze poniamo di una malattia o di
ferite causate da un incidente, di per sé il trapasso è dolce e lieve. Vi si prova come un senso
di liberazione.
Pure le esperienze che seguono il decesso appaiono gratificanti, almeno in genere, anche
se non sempre. Così, per esempio, attesta un vecchio prete abruzzese, Don Guglielmo:
Appena il corpo muore e l’anima è libera, l’esperienza è meravigliosa. Dopo devi purgarti
(14).
La purgazione può aver luogo prima o durante o dopo il sonno rigeneratore. Consiste in un
periodo di solitudine, che può essere molto penosa. L’anima è lasciata sola a riflettere sui
propri errori terreni, finché non maturi la decisione di pentirsi, di emendarsi, di chiedere
perdono a Dio e di abbandonarsi in tutto a Lui, alla sua misericordia.
In questa condizione l’anima vive l’esperienza come di trovarsi al buio e nella nebbia, che
verranno poi meno, a grado a grado, nella misura in cui l’entità si converta e modifichi il
proprio atteggiamento e il corso dei suoi pensieri. Soprattutto nell’altra dimensione, la cui
natura è tutta mentale, la condizione è determinata dai pensieri e si viene a modificare col
mutarsi di questi.
La purificazione dalle proprie scorie si realizza principalmente in questa forma, nel corso
di questo periodo di espiazione, che segue il trapasso, o il sonno, di poco.
A Don Guglielmo rivolgo un quesito: “Ora voi siete, come tu stesso dicevi, in una
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condizione di paradiso. Ma, se vorrete rendervi più perfetti e più puri, dovrete ancora passare
per esperienze definibili di purgazione?” Sì, risponde, per condizioni differenti (14).
Alla fine l’anima dovrà attuarsi pienamente in Dio. Ma, per riempirsi di Dio, dovrà
svuotarsi di sé, dovrà svuotarsi di ogni egoismo ed egocentrismo, di ogni attaccamento alla
terra, di ogni antico rancore. A questa operazione appare funzionale la caduta dei ricordi. È
una vera scorciatoia ai fini del distacco. Di un’anima disincamata (della cui comunicazione,
ahimè, non ritrovo più il verbale) rammento queste parole: “Avevo dei nemici sulla terra...
ma chi erano? e che mi hanno fatto? Chi se lo ricorda!”
La caduta dei ricordi ha luogo in quella stessa condizione di luce, che è dominata dalla
forma. La mente vi crea forme similterrene. Un’anima vi si ritrova con l’aspetto umano che
aveva già nel mondo, in mezzo ad un ambiente simile a quelli terreni. Si è già detto che
questo accade per effetto delle abitudini mentali, dure a morire, dei soggetti, i quali si creano
quelle forme con la medesima spontaneità con cui noi ogni notte ci creiamo gli ambienti
mentali dei nostri sogni.
Quelle abitudini, quei condizionamenti verranno un po’ alla volta anch’essi a cadere: è un
altro aspetto del processo di purificazione di un’anima, quale ha luogo nel corso
dell’esistenza dopo la morte in periodi successivi all’espiazione nella solitudine.
Questa prima fase di purificazione, che possiamo definire di vera espiazione, c’è chi la
deve attraversare e chi no. Ci passano, in genere, le anime gravate da particolari scorie.
Di uno stadio di purificazione che può venire ancora dopo ci dà un’idea questo dialogo.
L’abbiamo avuto con un’entità femminile che ci ha detto di essere vissuta negli Stati Uniti e
precisamente nell’Indiana. Il nome che ci ha dato è Sincerity. Ebbene, Sincerity ci ha riferito
che stava attraversando un periodo di purificazione assai poco piacevole, finalizzato a un
maggiore distacco da questa terra. Ci ha detto di avere molto desiderato di salire a una
condizione dove, in effetti “non ci sono forme”, né umane e neanche animali e vegetali. Le
ho chiesto se fosse contenta di una tale attuazione. Ha replicato: Non molto. Immagina la
terra senza uomini, animali e piante. Nel luogo attuale c’è un’atmosfera fredda (193).
Un’altra forma di purificazione è quella che si ha quando ci si impegna per gli altri. Essa
riscatta da molti passati egoismi, ma in una maniera attiva e utile, senza più necessità di
soggiornare in una condizione penosa. A quanto ci risulta dalle nostre comunicazioni, pare
che molte anime giovani si purifichino per questa via.
Per meglio spiegare quest’ultimo concetto, riporto la descrizione che Riccardo, detto
Richi, adolescente della Lombardia deceduto a 17 anni per un incidente, ci ha dato del suo
trapasso. Pare che sia andato col suo motorino a sbattere contro un ostacolo non bene
precisato. Riporto il dialogo tra lui e me, la cui spigliatezza mi auguro ne renda l’atmosfera
“giovane” senza parere irriverente e senza dispiacere ad alcuno.
“Sei morto d’un colpo o all’ospedale?” chiedo a lui, che mi risponde: Niente, sono rimasto
lì come un cretino. “Come un cretino morto o come un cretino vivo?” Morto. “E che hai
visto? Che esperienze hai avuto in quel momento?” Beh... niente... Lì per lì stai a guardare.
“E che si vede, per esempio?” E[h]... niente.., non ti rendi conto. La gente, la polizia, i
rilievi. Poi un gruppo di giovani allegri e luminosi: ‘Dai, bamha, vien via!’ Mi hanno messo
in mezzo e mi son trovato in un verde prato. Si sta con loro e un capo... Io ogni tanto dormo,
ma loro vanno in missione (467).
I giovani di luce soggiornano in un ambiente pur sempre di sostanza mentale, ma fatto di
prati e boschi e compendio di ogni bellezza naturale, che già di per sé pare predisposto a
rasserenare gli animi.
“Il tuo ambiente com’è?” domando a Maurizio. Il quale mi risponde: Bello, sereno e
luminoso: quello che voi dite ‘paradiso’. “Se ti giri intorno, che vedi?” La natura (502).
San Pietro, chiavi, porta, paradiso, angeli con le ali non si vedono, osserva Marilena.
Chiedo: “È forse un limbo più che un paradiso?” Risponde: No, è un vero paradiso come lo
pensiamo noi giovani. “Rassomiglia alla nostra terra?” Sì, ma più verde, più arioso, più
luminoso, insomma tutto più (495).
I giovani che appaiono a Richi agiscono da “essere di luce” collettivo, se si può dir così.
Accolgono Richi tra loro, lo lasciano dormire per rigenerarsi, lo coinvolgono. Quella dei
“figli di luce” è una manifestazione di grazia. Ai giovani che trapassano all’altra dimensione
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è offerta la possibilità di saltare i periodi di espiazione purificandosi attraverso un impegno
per gli altri. Un tale impegno per gli altri consiste nell’assolvimento di due essenziali compiti:
assistere i propri cari lasciati sulla terra e accogliere le anime di altri giovani che arrivano
all’altra dimensione sbandati, sovente, e bisognosi di ogni aiuto. In questa pronta
disponibilità, in questa generosità immediata è il vero riscatto delle anime.
continua......

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