giovedì 30 agosto 2012

IL “CASO” E IL MONDO DELLE CAUSE


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Quel che noi chiamiamo caso non è altro che un modo per designare delle
cause e delle regole così complesse da non poter essere afferrate dalla
nostra mente.
In senso etimologico, la parola “caso” deriva dal termine “caduta” e si
riferisce, quindi, a un accadimento che non dipende da alcuna causa
specifica.
Si parla di caso nel gioco dei dadi, per indicare l’apparente accidentalità del
loro cadere in un certo modo. Ma la caduta dei dadi non è dovuta al caso
bensì obbedisce a una regola ben precisa, la stessa che determina la
rivoluzione dei pianeti intorno al sole: il dado, in determinate circostanze,
non può che mostrare una certa faccia.
(testo citato in La dottrina segreta dei rosacroce, Magus Incognito).
Nell’universo non domina la Casualità, ma vige la Legge della Causalità;
Einstein affermava: “Dio non gioca a dadi” e nei testi cristiani si legge che “si
raccoglie ciò che si semina”.
Uscire dalla visione casuale del mondo e scegliere quella causale cambia la
nostra visuale; ci conduce dalla rappresentazione di un universo caotico e
privo di senso alla visione di un cosmo ordinato e direzionato. Questa nuova
prospettiva ci avvia a una considerazione più avanzata delle nostre relazioni e
dei nostri compiti. Non possiamo accusare più nessuno, né persone, né
situazioni se siamo noi stessi a creare continuamente gli eventi della nostra
vita! Usciamo così dall’ Aula dei giochi e ci avviamo – attraverso la presa in
carico della nostra esistenza – all’ “etica della responsabilità”. Cominciamo
anche a prestare maggiore attenzione ad avvenimenti “casuali” del nostro
vissuto quotidiano, che potrebbero contenere coincidenze significative e
insegnamenti nascosti, secondo quanto indicato da Jung nell’analisi delle
sincronicita'
Il mondo esterno non è altro che uno specchio, una rappresentazione
dell’interno. Ogni cosa e ogni varietà di cose della natura temporale devono avere
la loro radice o la loro causa nascosta in qualcosa che è all’interno.
A questo punto del cammino avvertiamo che è nostro compito favorire:
- la nostra personale evoluzione;
- il progresso dei nostri simili;
- l’avanzamento dei fratelli minori degli altri regni (minerale, vegetale,
animale);
- lo sviluppo di Gaia, anch’essa parte evolvente del grande Uomo celeste.
In tale contesto, il concetto di “libertà”, tanto sbandierato nei nostri tempi,
tanto banalizzato e “ridotto a misura dell’ego”, assume una nuova luce.
Per il profano la libertà è spesso la gratificazione quanto più ampia possibile
dell’ego; si dice, con un’espressione che sembra ispirata alla virtù civica della
tolleranza, “La nostra libertà finisce dove comincia quella dell’altro”. In realtà,
la libertà, e molti altri termini “astratti” come verità, onore, dignità, si
ampliano e si nobilitano ad ogni voluta della spirale; potremmo dire che sono
come “contenitori vuoti” in cui ognuno mette quel che – nella tappa evolutiva
in cui si trova – gli sembra il valore più alto.
Per l’iniziato la Libertà è l’adesione volontaria e lieta alla parte che può
intravedere del Piano divino. Tale visione diventa sempre più elevata man
mano che egli sacrifica il suo piccolo sé per realizzare quanto ha intravisto. In
sostanza, la sua piccola libertà diventa mezzo di manifestazione sulla Terra
della Volontà e del Proposito divini, acquistandone, ovviamente, in ricchezza
e dignità.
Il concetto di “libertà” è meglio compreso se collegato a quello di “Gerarchia”.
L’uomo è un microcosmo immerso in un macrocosmo creatore e vivificatore,
variamente definito: Cosmo, Natura, Causa Prima, Grande Architetto, Forza
suprema, Energia, ecc. In tale macrocosmo, cui noi tutti apparteniamo,
percorriamo un cammino a spirale nel corso del quale riviviamo più e più
volte esperienze “dello stesso genere” (affetti, dolori, lutti, separazioni, gioie,
unità, ecc.) ad un livello sempre più complesso e avanzato; in tal modo
raffiniamo e miglioriamo gradualmente la nostra essenza, che portiamo con
noi nelle successive incarnazioni.
Il macrocosmo è a sua volta inserito in un organismo ancora più grande, che
è il corpo di un Grande Uomo celeste, e così via, in piani di esistenza che
ancora non conosciamo.
Le entità e gli agglomerati di sostanza sono interdipendenti e
gerarchicamente ordinati: il maggiore com-prende e sostiene lo sviluppo del
minore. Poiché “come in alto così in basso”, la Legge della Gerarchia, che si
manifesta nell’Universo, ci indica il nostro compito specifico, che per
l’iniziato coincide con la sua “libertà”. Egli sa che all’uomo dotato di
consapevolezza e capacità di amare è affidata una grande, ardua ma
meravigliosa responsabilità: sostenere, con l’energia della mente e del cuore,
il percorso evolutivo del Pianeta.
Il Pellegrino sul Sentiero scopre che Amore e Libertà coincidono alla
sommità del monte, poiché comprende che l’atteggiamento costante di
amorevole cura, liberamente e lietamente scelto, “fa fiorire” qualità e
potenzialità nel giardino del nostro mondo.
Dante Alighieri esprime questo concetto quando afferma – nel Purgatorio,
cantica della purificazione – che “in Sua Volontate è nostra Pace”.

giovedì 9 agosto 2012

La Grande Incognita

 
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È di alcuni decenni fa il romanzo Il buio oltre la siepe, che negli Stati Uniti, ma
anche in Italia, ebbe molta fortuna. Parafrasandolo in positivo ho tratto da esso il titolo
per riscrivere di un argomento, in verità sollecitatomi da molti in questi ultimi tempi. Ci
ritorno volentieri, perché oltretutto mi sta a cuore, se è giusto quello che dice Alberto
Savinio: “Quando si dice di pensare, si intende pensare alla morte. E a che altro
pensare?” In altre parole si è di fronte alla grande incognita.
Si sa che la nostra attuale cultura per buona parte ha perduto di vista tanti valori e di
conseguenza elude anche molte domande, un po’ per falsa sufficienza, un po’ per
scetticismo, ma, più di ogni altro, per esorcizzare una paura che poi tale non dovrebbe
essere se si sanno dare delle risposte adeguate alle quali dovrebbero seguire
comportamenti altrettanto coerenti.
Ci si nasconde, senza badare a molte raffinatezze, dietro alla corsa al successo e al
potere, definiti giustamente nella canzone dei Dik Dik “trappole mortali”, e poi si
rimuovono gli interrogativi fondamentali ed essenziali del nostro vivere: con questa
operazione tutto si spiega, anche il cinismo e l’assoluta mancanza di rispetto non solo
per le cose e l’ambiente ma per la stessa vita.
Dico subito che io credo profondamente nell’Aldilà. Questa fede mi fa amare e
rispettare di più l’Aldiquà e ciò che in esso di umanamente e culturalmente valido è
stato prodotto o si produce. Tale convinzione non nasce tanto da una riflessione di
ordine religioso quanto da una serie di considerazioni che sottopongo alla benevola
attenzione del lettore.
Pere capire qualcosa del vivere e del suo scopo occorrono due atteggiamenti della
mente: imparare a saper riconoscere i segni e poi saperli collegare in connessioni che
abbiano il sapore di un discorso coeso. I vuoti che si creano e ci sono tra un elemento e
un altro vengono colmati dall’intuizione, che poi non è altro che una forma di
razionalità di natura superiore: non si dimentichi che le grandi scoperte e invenzioni
procedono tutte e sempre in questo modo.
Di segni dell’Aldilà nella vita, per noi che conosciamo solo attraverso i sensi (e
questi sono estremamente limitati e limitanti), ce ne sono molti. Ne elenco alcuni:
l’angoscioso linguaggio della morte, la presenza luminosa del bene, l’assurdità del
male e delle sue scelte, eventi inspiegabili, coincidenze misteriose e non casuali,
l’enigma dell’universo, il miracolo della vita, una serie ormai infinita di esperienze e
fenomeni paranormali non riconducibili a fatti allucinatori, il rifiuto viscerale della fine,
sogni premonitori che si realizzano puntualmente, incontri inaspettati e imprevisti...
Tutti questi segni, se considerati in sé, forse dicono poco o tutt’al più sono dei
frammenti sparsi qua e là. Ci vuole un buon restauratore (cioè la nostra mente sgombra
da pregiudizi) che sappia saggiamente contestualizzare questi segmenti o tasselli in
modo da ripristinare l’intero mosaico nella sua logica nascosta.
Il caos, il nulla, l’apparente svuotamento della razionalità sono solo illusioni:
fermarsi ad esse e affermare che sono la verità mi sembra un atto o di rinuncia o di
presunzione. Il pensiero coraggioso va oltre, si chiede ragioni, cerca i nessi. E questi, se
si è aperti, all’improvviso vengono fuori in tutta la loro luminosa significatività.
Niente c’è di fortuito (gli scienziati questo lo sanno bene: ”Dio non gioca a dadi con
il mondo” ripeteva Einstein) come, peraltro, tutto sembra obbedire a una sorta di
organizzazione finalizzata alla conservazione dell’essere, anche se questa passa
attraverso il provvisorio buco nero di una quasi programmata disintegrazione
dell’esistente visibile.
Il filo del discorso si riannoda non nel creare ma nel saper leggere i legami fra i
segni: si scopre così che il deserto è puramente fittizio, anzi è necessario perché un’oasi
possa richiamarne un’altra, come pure è un indice di libertà imparare a scegliere una
lettura o fermarsi al semplice isolato dettaglio. D’altronde cosa insegnano la teoria degli
insiemi, dei gruppi, della Gestalt e dell’analisi testuale, se non quello che si è fatto
osservare sopra?
La realtà è che noi siamo energie pensanti destinate a sopravvivere oltre il visibile,
oltre cioè la gamma ristretta della misura bidimensionale spazio-tempo: questo è
richiesto dalla domanda d’infinito e d’eterno scritta nel patrimonio psicogenetico di
ognuno. Se quest’ultima esiste, è legittimo attendersi la possibilità d’una risposta di
uguale natura, altrimenti la domanda non si porrebbe in tutto il suo peso. Questa,
inoltre, è l’informazione della quale si è depositari e detentori.
Come sarà il post-Aldiqua? Certamente sarà una evoluzione graduale e diversificata
verso la luce, la piena conoscenza, l’incontro con l’Essere, la Vita, il Tutto, nel quale si
ricomporrà il globale significato dell’umano esistere e la liberante integrazione affettiva
con altri simili (parenti, amici, affini), anch’essi visti in relazione a quel Tutto, che non
potrà che essere Gioia, Felicità, Realizzazione di tutti i nostri più profondi desideri
incompiuti oltre che dei nostri silenzi finalmente mutati in parola.
Per il momento occorre apprendere a conoscere e a conoscerci, ad ascoltare e ad
ascoltarci. Il resto? Verrà da sé. 

tratto da
I testi del Convivio
LA LUCE OLTRE LA SIEPE
di Nicola Michele Campanozzi