sabato 29 gennaio 2011

La santificazione


Leggiamo, ora, con attenzione quel che ci dice Movimento, dove egli distingue tre diversi
gradi di attuazione nella vita dopo la morte.
C’è prima un “appagamento dello stato psichico”: e ben si comprende come questo si
realizzi nelle sfere di luce nel mondo astrale formale.
Si attinge, poi, lo “spirituale” con l’elevarsi alle sfere ormai libere da ogni condi-
zionamento della forma.
C’è, infine, la “santità”. Ed ecco il testo che ci interessa, ricavato dal verbale: Io ora
evolvo verso la santità. Quando lo stato psichico è appagato, allora cominci a sentire che ti
manca qualcosa e cerchi lo spirituale. Ma avverti che non è ancora ciò che cerchi. Allora
pensi alla santità. Nota: ho detto ‘pensi’, ma è poco se non riesci a realizzarla, a viverla,
insomma se non divieni santo.
Alla mia domanda “Essere santo che vuoi dire più esattamente?” Movimento replica:
Essere di Dio e in Dio. È un cammino irto di difficoltà. Si fa presto a confondere spiritualità
con santità.
“Che cos’è la prima, in contrapposto alla seconda?” Spiritualità non è ancora essere di
Dio in Dio, essere l’alito di Dio.
“E cos’è positivamente?” È l’anima aperta ai valori universali. Secondo me anche un ateo
può essere spirituale (377).
Ecco un’altra variazione sul tema, a conferma e progressiva integrazione del quadro:
Prima di tutto, ci spiega Ascesa, gli sforzi maggiori sono stati quelli di perdere l’aspetto
terreno e tutte le sue connesse implicazioni. Inoltre ci sono gli affetti, i ricordi, i sentimenti.
Dimenticare questi è più complesso, e cadute e ritorni sono frequenti . Quando di tutto di
sicuro ti sei liberato, allora puoi dirti spirito. Ora ha inizio la vera vita spirituale. “E a
questo punto cosa rimane da intraprendere?” Un lungo cammino in cui l’anima deve
santificarsi (341).
“A che aspiri?” chiedo alla già incontrata anima che tende alla perfezione. Mi risponde,
appunto, Alla perfezione, ribadendo il concetto.
Le chiedo che mi dica cos’è in termini più esatti. Ossia, spiega, l’anima deve diventare
perfetta prima di iniziare il cammino della santificazione.
“E questa ‘perfezione’ come grado previo rispetto alla ‘santificazione’ in che consiste?”
Nell’essere senza alcun desiderio o altra brama.
“E per ‘santificazione’, allora, che cosa intendi?” È riempire l’anima dell’amore di Dio
(375).
Viene da osservare che quella di cui si parla qui appare piuttosto una perfezione di tipo
buddhistico (Piccolo Veicolo), mentre la santificazione sembra stare più a casa propria in un
contesto ebraico-cristiano o islamico o comunque teistico-devozionale.
Anche Jagur, maestro della sapienza astrale, ribadisce questi concetti con un linguaggio
che pare mutuato più da tradizioni orientali, sempre attraverso probabili mediazioni
teosofiche.
Premette Jagur che la via iniziatica è lunga, che chi inizia non deve lasciarla e che è per
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tal motivo che l’iniziando solo quando si sentirà pronto la intraprenderà.
“Quali tappe essenziali ha questo cammino?” chiedo alla guida, che replica:
Perdere l’illusione. Il mondo qui è tutto illusorio. Questo è il mio compito. (Sono le parole
con cui Jagur mi conferma che il suo compito di guida è avviare e assistere le anime sul
cammino ascetico della perdita della forma).
“Quali passi ulteriori sono previsti?” Se tutto è illusione, l’anima se ne libera e va alla
ricerca di sé e del Divino. Quando se ne ha la consapevolezza, allora si spicca il volo verso
la Divinità con tecniche contemplative di adorazione (372).
L’attuazione del Sé in quella consapevolezza che è autocoscienza è una perfezione in cui
l’anima prende coscienza di se medesima come puro spirito. Si tratta di una vita spirituale
epurata e come tutta concentrata nel suo principio, che è il principio della pura soggettività.
Siamo, qui, nell’ambito di quella che può chiamarsi la “ricerca del Sé”. Siamo nel filone
Upanishad-Vedanta-Yoga della grande tradizione spirituale dell’India.
L’attuazione di un Sé concepito in questi termini non può, ovviamente, coincidere con
l’attuazione dell’umanesimo nella pienezza dei suoi contenuti specifici, storici, culturali, e
nemmeno può identificarsi con l’attuazione religiosa (comunione con Dio, santità).
Per me è chiaro, comunque, che ciascuna di queste forme dello sviluppo umano ha il suo
posto in una attuazione integrata, che dovrà comprenderle tutte insieme e che pare si debba
conseguire in pieno solo alla conclusione dell’intero processo evolutivo come perfezione
veramente ultima.
L’esperienza del Sé nel suo puro principio non può essere che un’esperienza di puro
vuoto. Chi la realizza ha, per oggetto esclusivo della sua meditazione e di ogni sua attenzione,
il vuoto.
È un vuoto che viene assolutizzato da chi si ferma ad esso: Nel vuoto c’è tutto, ci dice un
Guru non meglio individuato, il quale attesta di esser vissuto in India e pare fermo a questa
posizione e chiuso a qualsiasi attuazione di diverso genere o di qualsiasi preteso o presunto
grado ulteriore (331).
Anche Nulla — si ricorderà — parlava di uno svuotamento da lui conseguito con tecniche
distruttive. È, però, ben lungi dall’assolutizzarlo, dal considerare il proprio vuoto come il
conseguimento ultimo e perfetto. Quando io gli chiedo se egli dovrà tendere, o meno, a mete
ulteriori, mi parla di un riempimento. “Di che cosa?” gli chiedo. Mi precisa: D’amore (224).
È da qui che derivano la ricchezza e la pienezza dell’anima, per mutuare l’espressione di
un’altra entità (201).
In una esperienza di vuoto perseguita per se medesima può essere che l’anima trovi nel
vuoto stesso veramente tutto, come l’amico Guru che si è menzionato or ora. C’è l’artista, che
si dà tutto alla propria arte e tutto vi trova. C’è il politico, il quale si dà tutto alla lotta per il
potere e trova nel potere stesso l’oggetto delle massime aspirazioni concepibili. C’è
l’innamorato, che trova tutto nel suo amore. C’è chi assolutizza la ricchezza, lo sviluppo della
propria azienda. O magari le vittorie che può conseguire la propria squadra di calcio. C’è chi
assolutizza la propria bellezza, il successo, la gloria o quei suoi moderni surrogati che sono il
successo e la celebrità. C’è chi sacrifica agli altari di idoli vecchi e nuovi. Le esemplificazioni
che si possono compiere son quasi senza limiti.
Finché si rimane chiusi nel proprio pseudo-assoluto, si continuerà ad avere delle cose una
visione indubbiamente parziale e inadeguata. Che cos’è che ci farà uscire da una tale
chiusura?
Penso che interverranno, qui, due elementi essenziali: da un lato è lo stesso preteso
assoluto che può rivelare la sua crisi dall’interno dell’esperienza che il soggetto ne ha;
dall’altro lato (diciamo: all’esterno) c’è la manifestazione dell’assoluto vero, cioè di Dio.
La chiusura in sé, o la chiusura in uno pseudo-assoluto, rendono il soggetto meno recettivo
al manifestarsi dell’Assoluto vero per quel che veramente è.
Una tale recettività aumenta, invece, in ragione dell’entrare in crisi del falso assoluto.
D’altra parte è il risplendere dell’Assoluto, quello vero, che rende sempre più visibile e
chiara ed evidente la crisi.
Come pure è l’evidenziarsi della crisi che, a propria volta, apre sempre più il varco all’au-
tomanifestazione del vero Dio.
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Quanto a Dio, Egli è da sempre Se stesso. E può comunicarsi solo in ragione della
recettività degli esistenti, delle creature.
Venendo al punto che ci interessa in particolare, potremo dire allora: l’anima che
raggiunge l’esperienza del vuoto vi si potrà chiudere, ma potrà anche uscirne via via che il
vuoto rivelerà la sua crisi e via via che Dio stesso, penetrando attraverso gli spiragli che si
vengono ad aprire nell’anima, si manifesterà in maniera sempre più intensa riempiendo
sempre più l’anima di Sé.
È probabile che l’aridità possa precisamente definirsi come l’esperienza del vuoto in
quanto rivela la sua crisi, la sua inadeguatezza.
Ed è probabile che proprio in questo senso possano interpretarsi le parole di Fuoco
Spirituale: Prima di tutto è una perdita, un senso di desolazione, di svuotamento, oserei dire
di nulla. Allora sorgono dubbi a non finire. Pensi che è tutto un inganno. Insomma ti senti in
fondo a un pozzo. A questo punto c’è l’abbandono totale e incondizionato:
Signore, sono tua creatura, fai di me quello che vuoi’. E Lui con il Suo amore, con la Sua
carità ti aiuta. È opera Sua se all’improvviso senti nascere in te la gioia dell’elevazione, del
progredire dell’anima che vuole diventare santa. E da quel momento in poi la grazia di Dio
non ti abbandona più. È Lui in te. È un andare sempre avanti nella scalata alla santità finale
(206).
Come si vede, la grazia divina ha già un ruolo sempre più essenziale. Il sole è quello che è,
in se stesso, e tuttavia illumina dove più dove meno, a seconda che si aprano o meno le nubi e
anche le imposte delle nostre finestre.
Con la sua iniziativa, che sempre è e rimane primaria di fronte alle iniziative nostre di
uomini, la grazia divina illumina e sostiene anche la nostra purificazione. E ora, nella misura
in cui l’anima si apre e si affida sempre più alla grazia, questa accentua sempre piu il suo
ruolo. È Dio che, fondamentalmente, opera ogni cosa. Per dirla con le parole della guida Tito:
Tu pensi di essere tu ad agire, ma è Lui (102).
Via via che riempie l’anima di Se stesso, Dio le infonde un amore sempre più vivo,
profondo, intenso e ardente. Ad Astor chiedo: “Come senti la presenza di Dio in te?”
Risponde l’entità: Come un ardore che invade tutta la tua energia (218). Si tratta, aggiunge
Scordarello, di un’energia potente che ti dà una carica.
È importante fermare l’attenzione su una precisazione che viene subito dopo. Parlando di
Dio, Scordarello attesta: Lo sento come un’energia estranea alla mia. Gli chiedo di
completare questo pensiero: Non è facile, replica ancora, perché è una sensazione energetica.
Senti che è un’energia che ti trascende e che è più potente della tua. Aggiunge infine: È un
sentimento di immensa gioia, perché, sei consapevole che non è la tua energia (340).
Questa divina fiamma, che invade l’anima, la riempie e alfine la prende tutta, è ben
distinta dall’anima stessa: è trascendente. Tale idea, già espressa con chiarezza nelle parole di
Scordarello, si trova ribadita e svolta da Movimento: [La presenza di Dio in te] è una
seconda anima che ti domina e ti pervade. Immagina un arto freddo quasi congelato, e
all’improvviso comincia a circolare il sangue. L’arto che inerte riprende colore, vita,
energia, movimento. Così è la sensazione dell’anima sulla via della santificazione (377).
Ancora sulla trascendenza di Dio, che si fa immanente in noi con la Sua grazia: Si può dire
che è Dio che ormai ci vivifica, è la testimonianza di Ardente. Gli chiedo se egli provi, o
meno, di Dio un’esperienza diretta. Sì, replica, è dentro come un fuoco, anche se con
l’intelligenza sai che è infinitamente altro (204).
Negli stadi iniziali di quel processo di riempimento che porta alla santificazione, l’anima
esperisce una sorta di alterna vicenda di pieno, poi di vuoto, poi ancora di pieno. Ci sono,
dice Yale, momenti che ti sembra di essere vicino alla perfezione, ma subito ti accorgi di
esserne abissalmente lontano. C’è un fuoco d’amore che ti arde, e all’improvviso il gelo. In
altre parole, per un momento ti pare di essere in Dio, ma immediatamente ti accorgi di
esserne ancora lontano. Sono momenti in cui ci si rende conto di avere un amore tiepido che
non è abbastanza per essere vicino a Dio (189).
Un tale moto alterno appare più caratteristico di quelli che si sono considerati gli stadi
iniziali di questo processo di riempimento. Sono gli stadi cui si riferisce Anima Purificata,
allorché, alla domanda “Anche tu hai perduto la forma?” replica: Da tempo, e un calore
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modesto di Dio ha invaso la mia anima (241).
Dio è il desiderio che ti consuma, afferma Venceslao. “Lo senti come un fuoco?” è la mia
domanda, che ottiene questa precisazione: Non come un ardore possente. Ma qui si va per
gradi (338).
“Di che condizione sei?” chiedo a La Certezza, da cui mi sto accomiatando. Ne ottengo la
risposta: Sono all’inizio della scalata santa. “Come senti Dio nel tuo intimo?” Tepore.
Aggiunge: E non -ino. “Ho capito: il primo grado è Teporino, poi c’è Tepore. Non sei più al
primo gradino: non sei più Sottotenente...” Sì, sì, sì “ Ma sei Tenente, con due stellette”. Sì,
sì. “Dopo Tepore che c’è?” Fuochino. “Auguri per la tua promozione a Capitan Fuochino”.
Sì. Addio (232).
C’è, poi, un’altra entità, che da noi si fa chiamare Fochino, senza la u. Nel suo presentarsi
parla, in prima persona plurale, a nome di tutto un gruppo di anime di cui fa parte: è, dice, un
gruppo di anime che vive la gioia di sentirsi nella scia del Dio Padre. Aggiunge Fochino:
Ora siamo alla prima scoperta dell’Amore. Ti dona calore, certezza di continuare un
cammino non facile, ma sicuramente con meravigliose tappe di perfezionamento spirituale.
Chiedo a Fochino che mi dica qualcosa di queste tappe. Si tratta, risponde, di ulteriori fasi
di elevazione da conseguirsi via via attraverso un cambio di sfere: dal calore all’ardore al
fuoco perenne.
Richiesto di offrire maggiori dettagli, Fochino riassume il processo di elevazione
dell’anima precisandone i termini come segue: Dopo un periodo nel quale passi tutte le fasi
dalla spoliazione fino all’ultima fase, quella dell’aridità in cui l’anima è completamente
annientata, inizia la risalita: un teporino, un calduccio, tepore, calore, calore che via via
diventa ardente, e poi fuochino, fuoco e fuocone: l’anima ormai è fiamma.
“E tu, personalmente, a che livello ti trovi?” Appena teporino; ma in me, che tutto tendo a
Dio, c’è la tensione di raggiungere il fuoco perenne.
“Ti auguriamo di arrivarci presto”. Quando avverrà non lo so, ma il desiderio è ardente.
“Che cosa c’è dopo quel punto di arrivo? cioè dopo quello che tu chiami il ‘fuocone’?” Sei
all’inizio della santificazione. Poi anche in questa condizione c’è un lungo cammino.
“Quali tappe ha il cammino della santificazione?” Ora non mi sono state dette.
“E il punto d’arrivo finale, proprio ultimo, qual è?” La meta finale è il risorgere santificati
e uomini nuovi in un mondo trasformato dalla potenza e amore di Dio (227).
Se negli stadi iniziali ci possono essere quelle oscillazioni, quelle alternanze, quei
temporanei ritorni indietro cui si accennava, a un certo momento l’unione con Dio diviene
stabile e irreversibile, così come si stabilizza l’esperienza viva dell’unione: a quel punto
l’anima è immersa in un’estasi continua. Tale è il fuoco perenne in virtù del quale l’anima
ormai è fiamma, per riprendere due espressioni dell’ultima entità intervistata.
È un’idea che lo stesso Yale, già menzionato, ribadisce con la massima chiarezza:
nell’ulteriore cammino che sempre più avvicina a Dio devi diventare fiamma d’amore ed
ardere ininterrottamente ed esclusivamente per Lui (189).
Sempre nell’attestare quella che è la loro intima esperienza di Dio, Amico parla di tutto
ardore (228) mentre Risorgerò afferma che Dio è un fuoco vivificante. Richiesto di dire in
proposito qualcosina di più, aggiunge che allo stadio in cui egli si trova si è sempre lieti e
felici e ormai la certezza di un cammino senza cadute ti fa sentire un essere quasi santo
(207).
Va precisato, però, che a questo punto ci si trova pur sempre in uno stadio definibile come
iniziale, dice E, perché l’alta santità è la meta generale e finale dei santi (350).
La via che porta a diventare santi è, per Yale, un itinerario simile a quello che in terra
percorrono i mistici (189).
A conferma di quel che si è detto, giova riportare la sintesi che Impegno Spirituale
propone dell’intero processo.
“Qual è la tua condizione?” Sono all’inizio di una via che mi deve portare alla pienezza.
“Alla pienezza di che?” Dio.
“Puoi spiegarci più in dettaglio, per favore?” Sono stato uomo, poi anima con aspetto
corporeo, poi ho smesso l’aspetto per acquisire l’energia. Poi ho svuotato l’energia di tutto:
ricordi, affetti, sensazioni, cultura, sapere. E giù fino in fondo. nulla, vuoto, un totale annien-
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tamento. Ora a questo punto sei pronto per la lenta risalita. Ora nell’energia rispunta il
desiderio dell’incontro con l’Assoluto: e pian piano il desiderio si trasforma in un tepore
divino e si percorre tutta una gamma di calore fino ad arrivare dall’energia alla fiamma
perenne (230).
Nell’esperienza di Dio, afferma ancora Fochino, l’anima si sente piena di ardore, perché
comprende di essere creazione di un Padre non terreno ed effimero, ma eterno (227).
È chiaro che, ben prima che essere una conclusione razionale, quell’intuizione è una presa
di coscienza vitale e immediata.
In una tale esperienza di Dio si scopre in Lui il Creatore e ci si scopre creature. Si potrebbe
chiamarla “esperienza creaturale”.
Qui, nota Ascesa, riacquisti la consapevolezza di essere da Lui creato e ritorni a Lui con
slancio filiale (341).
È un’esperienza che Sirio definisce lapidariamente il ritrovarsi creature (51).
Si ricordi la menzionata espressione Signore, sono tua creatura, fai di me quello che vuoi
di Fuoco Spirituale. L’esperienza creaturale è strettamente connessa all’intima esperienza che
noi possiamo avere del Dio creatore che ad ogni momento ci pone in vita e sostiene, non solo,
ma ci trasforma e ci plasma.
Ad Astor chiedo: “Come senti gli uomini?” Creature, è la sua risposta. Io e voi siamo in
Dio perché da Lui venimmo (218).
Scoprire in Dio il Creatore, in me la creatura, negli altri umani e in genere in tutti gli altri
esseri le con-creature è un’esperienza sola e unica e sempre la medesima, per quanto possa
articolarsi in questi diversi aspetti.
L’entità E definisce la propria esistenza come vita puramente adorante Dio. Le chiedo se
possa darcene un’idea; ed E cerca di farlo con le parole che seguono: Immerso in atmosfera
santificata adori Colui che tutto dona sia a voi che a noi (350).
Anche Oxilia è divenuta pura energia adorante gli dèi. Le chiedo come si attui tale
adorazione in termini concreti. Con vibrazioni di energia, spiega, formiamo canti, danze, lodi
ai Sublimi (279).
Per menzionare un’altra delle sette anime dell’antica Roma, è con queste parole che Livio
cerca di farmi capire come avvengano, sempre in concreto, quelle danze che fanno parte
dell’adorazione: si tratta di onde energetiche che vibrano all’unisono intrecciandosi.
Da un bel pezzo tali anime hanno perduto la loro forma similcorporea, e quindi è chiaro
che non sono visualizzabili. Eppure, aggiunge Livio, potresti impropriamente disegnarle
come tante linee curve che si intersecano armoniosamente (291).
La via della santificazione delle anime porta pure alla contemplazione della Divinità. Qui
la contemplazione della Divinità nei suoi aspetti costituisce come una tappa preliminare
rispetto a quella che sarà, in ultimo, la contemplazione della Divinità in se stessa.
Orazio, un’altra delle sette anime dell’antica Roma, fa cenno a sfere più elevate dove si
contempleranno gli dèi ma non ancora il Dio supremo. Gli chiedo se il Dio supremo già lo
adorino. Sì, risponde Orazio, ma poi lo si contemplerà. “E alla fine di tutto che cosa vi
attende?” Saremo dèi ed entreremo nell’Olimpo e vedremo Juppiter di fronte a noi come il
Sommo (301).
Da un colloquio con Livio mi faccio l’idea che, nella terminologia pagana di quelle anime
antiche, gli dèi equivalgono ai santi, così come il diventare dèi equivale a quella che la nostra
terminologia cristiana chiama la “santificazione” (293). D’altra parte la teologia cristiana
orientale non usa forse il termine “deificazione” come sinonimo di quest’ultima?
Se poi consideriamo la fenomenologia religiosa in una chiave più filosofica, che cosa sono
in fondo gli dèi se non i molteplici aspetti del Dio uno?
Anche Ascesa parla della contemplazione specificando: Sono tutti gli aspetti di Dio che tu
apprendi a comprendere per apprezzarne il valore. Non è ancora la contemplazione di Dio,
ma dei suoi aspetti: Dio come bontà, come carità, come giustizia. Non sono ragionamenti,
ma è un aderire dell’anima.Chiedo se un tale aderire dell’anima ai vari aspetti di Dio non
preluda a un aderire a Dio stesso. Sì, risponde, ma è un momento ulteriore. Ancora precisa
che tale momento ulteriore è proprio quello di aderire a Dio. Esso presuppone il
raggiungimento della santità piena da parte dell’anima (341).

venerdì 28 gennaio 2011

La perdita della forma

Il fatto di trovarsi bene nel mondo astrale della forma può indurre un’anima a prolungarvi
il soggiorno senza fine. Per lei quello è già il paradiso, a differenza che per altre, per cui
quelle esperienze potrebbero solo rappresentare gradini di una scala altissima che si prolunga
molto al di là e che solo all’ultimo, al sommo, adduce al paradiso vero.
Per quanto le guide possano sollecitarla ad elevarsi, quell’anima si sentirà indotta a
resistere il più possibile ad appelli del genere per fare, al contrario, ogni sforzo al fine di
mantenere ad oltranza lo status quo. Non ho voglia di evolvermi, ci confida Sandro. La sfera
mi sta bene, gli amici sono quelli di sempre: ci divertiamo e scherziamo ().

Anche Livia e Titta hanno forti resistenze, come risulta dai lunghi colloqui avuti con me
riportati nei Colloqui con l’altra dimensione, che hanno per protagonista anche Sandro.
Ci sono poi, per fare un altro esempio significativo, le resistenze della Signorina Clorinda,
detta Clory. Sono proprio io a farle il guastafeste, quasi in sostituzione della guida; e la
povera Signorina (con la quale – fatto eccezionalissimo – ci diamo del lei) replica in tono
accorato: Se veramente mi concentro su quello che Lei mi ha detto, allora mi rattristo.
“Gliel’ho detto per il Suo bene”, insisto. E la buona Signorina, che si fa anche lei un po’
furbetta: Ma l’eternità è lunga e senza fine. Subito, però, aggiunge: Ma sia certo, amabile
Professore, che terrò nella debita considerazione il Suo consiglio.
Nel frattempo, però, la Signorina Clory si sta godendo il piacevole soggiorno in una
particolare sfera dove è ricreato l’ambiente di uno stabilimento termale, e per nulla vorrebbe
rinunciarvi. Quindi chiede, con tutto il suo garbo, una dilazione: Posso almeno terminare, se
a Lei non dispiace, il mio soggiorno alle terme? ().
Anche le anime che con le loro comunicazioni alimentano tanta letteratura medianica del
filone spiritualistico anglosassone hanno l’aria di stare a perfetto agio nella loro fetta di
aldilà, che è tutto un panorama di casette di stile inglese con davanti il giardino e dietro il
cortiletto.
Si entra nella hall, da dove una scala con la moquette porta alle camere del piano
superiore, mentre nel salotto a pian terreno accanto al fuoco c’è una teiera con le tazze, i
piattini e il plum-cake, e al tutto fa la guardia un grosso bulldog accucciato accanto al
caminetto, con un occhio semiaperto.
Ci sono, però, anche le anime inglesi dissenzienti, come il già nominato Belive: Io pure ci
sono stato, dice, ma è sgradevole. “Ma agli inglesi piace immensamente questa maniera di
vivere e (perché no?) di sopravvivere così tipicamente e stucchevolmente inglese”. In terra
sì, ma in cielo... “Mi risulta che tante anime inglesi indugiano assai in tale condizione”. O[hJ
sì, non se ne distaccherebbero mai ().
La sfera formale a tanti piace, si è detto, ma non proprio a tutti e sempre. Dice, per
esempio, Nanda: A volte mi pare che tutto proceda bene, altre volte sono scontenta. “Perché
mai?” chiedo. Me ne dà la ragione: Ritorno in ambienti che non vorrei. “Quali?” Quelli dove
ci sono i miei morti. “Perché, non ti piacciono quegli ambienti?” Non così pensavo al mondo
soprannaturale. “Come sono quegli ambienti?” Come quelli della terra ().
Nell’approdare a certe sfere dell’aldilà, anche Piergiacomo le trova fin troppo simili alla
terra e antropomorfiche, e la cosa non è di suo gusto: È un momento un po’ di delusione: ti
aspetti un mondo, diciamo così, di angeli; invece... ().
Anche per Ubaldo è stato un po’ strano: sai, uno non s’immagina che il paradiso sia la
terra (). Non ho trovato il paradiso, attesta Mario, bensì un mondo simile al nostro, e
invece io credevo di trovare il paradiso del catechismo ().
Chi la vuol cotta e chi cruda, si sarebbe tentati di commentare, a sentire Empedocle di
Boville (a pochi chilometri da Frosinone), il quale trapassando ha finito per sistemarsi in una
replica del suo paese amato: facsimile che somiglia, sì, tanto all’originale, ma non
abbastanza.
“Che differenza c’è tra la Boville della terra e quella del cielo?” Meno bella in cielo. “E
come mai?” Beh, manca qualcosa: nun c’è la terra, come ti posso dì. “Puoi spiegarti meglio?
Cos’è che manca esattamente?” Un certo (e qui Empedocle ha fatto pausa, come a cercare le
parole più adatte) rumore, canti, amici. Insomma manca quello che c’è in un paese sulla
terra ().
Si può comprendere come un attaccamento eccessivo alla vita possa ostacolare l’adattarsi
dell’anima alla nuova condizione ultraterrena, specialmente quando una morte prematura
colga un giovane, come suoi dirsi, “così pieno di vita”.
Difficoltà analoghe a inserirsi nel mondo spirituale possono avere i materialisti, diciamo
così, incalliti, al pari degli atei il cui ateismo non sia solo una posizione dottrinale, ma un
modo di sentire e di essere. Ho detto così, semplicemente, a Ubaldo, senza nemmeno sfumare
troppo il discorso: “Ho inteso o letto da qualche parte che agli atei in genere come ai
materialisti non è per nulla facile inserirsi nel mondo spirituale quando trapassano”. Io infatti
sono in un mondo materiale, ha replicato Ubaldo senza pensarci due volte.

“Chi entra nella dimensione spirituale da materialista che genere di difficoltà incontra?” È
difficile l’evoluzione. “Cioè...?” Non è che uno si trovi male, ma resta sempre in un ambiente
terreno e non si evolve, non si spiritualizza ().
“Hai una forma umana?” chiedo a Belive. E lui: Sì, ma non mi piaceva averla ().
Io avevo il complesso del mio corpo, ci confida Iuzza, una grassa madre di famiglia di
Palermo che, trapassando, si è ritrovata nella sfera una replica astrale spietatamente esatta del
suo vecchio corpo obeso. Ora che è riuscita a perdere la forma, Iuzza è felice: si sente libera e
come trasparente ().
Nella dimensione astrale c’è chi per un periodo di tempo si porta la sua forma
similcorporea con scarso piacere e convinzione, e c’è chi non l’ha mai, neanche all’inizio. Io
voglio farti sapere, mi dice Paolo, che ci sono anime come me che non hanno un aspetto
umano.
Come si spiega questa differenza rispetto alle anime che, pur malvolentieri, si portano il
loro aspetto umano anche nell’aldilà? Giova, ogni volta, ritornare a quello che è il principio
dei principi: la vita disincarnata è tutta una creazione mentale. Ora la mente crea secondo le
proprie abitudini, inclinazioni, tendenze anche al livello inconscio, gusti, credenze,
convinzioni.
Questo ci aiuta a capire meglio la spiegazione che ci dà lo stesso Paolo: Avevo sempre
pensato che nel mondo spirituale non ci fossero aspetti terreni: non mi era possibile
immaginare di avere un corpo nell’altro mondo ().
Un’altra anima che non ha ancora assunto alcun aspetto umano simile a quello precedente
sulla terra è la giovane Edith ().
Nemmeno Fievole ha avuto ancora una vita astrale similterrena. Egli è trapassato con le
sue antiche convinzioni reincarnazionistiche, di marca esoteristico-teosofica, perfettamente
convinto di doversi reincarnare immediatamente: Si attende subito una nuova esistenza, mi
dice.
E difatti nemmeno è certo se, richiamandolo dopo due giorni, lo ritroverò nell’altra
dimensione, o se invece potrò incontrarlo di nuovo solo tra qualche anno, con gli occhi a
mandorla, in occasione di un viaggio nel Tibet che farò allora. (Suo vivo desiderio è di
rinascere in un paese orientale. E quale meglio del Tibet, se gli va bene?)
Come suona il titolo di un famoso film, “Il cielo può attendere”: anche per lui. E, quanto a
un corpo astrale similterreno, egli potrà averlo solo alla fine di tutte le reincarnazioni. Coloro
che già lo hanno sono, per lui, spiriti che non ritornano: chi non vuol tornare non ritorna, ma
sono pochi, precisa; sono quelli che una sola esistenza ha appagato ().
Mes è un’altra entità che nega di avere un aspetto umano. “Come mai?” Sono una pura
energia piccola e iniziale, mi dice. E aggiunge: Io non vedo il mio aspetto. Forse c’è, ma io
non ne ho la coscienza. “Ma dopo il trapasso non hai avuto mai una forma?” Non la ricordo,
ma questo sarà dovuto al mio stato.
Si trovava in espiazione; e solo dopo una lunga serie di colloqui, che avevano migliorato
la sua condizione ultraterrena, ci ha confidato che cominciava in qualche modo a vedersi. A
quel punto egli appariva a se stesso come un grosso essere informe, come una sorta di
bozzolo gigante ().
Un’altra anima che dice di non aver mai avuto un corpo astrale similterreno è Salus. Come
spiega questo fatto lui stesso? Io mi sono spogliato delle impurità con lunga ascesi, ricorda.
Per molti anni ho accettato dolori e immobilità. Son parole che, se certamente non spiegano
proprio tutto, suggeriscono forse qualcosa. L’aspetto umano lo si può avere, dice, se lo
desideri. Le entità che lo hanno sono anime attaccate. E l’avere o meno tale forma dipende
condizione, precisa con espressione un po’ telegrafica ().
Quando beninteso lo si ha, perdere l’aspetto umano è naturalmente la prima cosa da fare
per assurgere al livello di un’esistenza spirituale più epurata, più distaccata dalla terra e
perciò di ordine più mentale e spirituale in senso proprio, senza attenuazioni e compromessi.
Un’anima si accorge di avere un aspetto umano e contemporaneamente guardandosi
intorno (per dire così) scorge intorno a sé altre anime con aspetto sempre di uomini e donne
di questa terra, e tutto un paesaggio similterreno, o una strada di città, o l’arredamento
completo di una stanza. Il vedere se stessi in forma e veste umana e il vedere altre anime con

aspetto analogo vanno di pari passo. Così vanno di pari passo lo scorgere anime (inclusi se
medesimi) in forma antropomorfica e all’intorno tutto un ambiente similterreno. E così vanno
ancora di pari passo il non vedere più se stessi in alcuna forma e il non vedere più forme
umane e terrene intorno a sé.
A un certo momento l’anima perviene a rendersi conto che non c’è più altro da fare che
intraprendere con decisione un tale cammino ascetico, a meno che tra la vita e la morte non si
voglia rimanere eternamente a metà strada.
Delle guide ho detto quanto mi era possibile nei Colloqui con l’altra dimensione. Posso,
qui, limitarmi a riassumere quella che è la loro missione, il loro peculiare impegno.
Naturalmente esse accolgono nella nuova dimensione le anime appena disincarnate per
confortarle, per aiutarle a prendere coscienza della situazione nuova, per dargli un primo
orientamento, per seguirle invisibilmente.
Esse, poi, assistono invisibilmente le anime in espiazione.
Sono, infine, sempre le guide che, intervenendo in forma visibile nel mondo astrale,
sollecitano le anime a intraprendere il cammino evolutivo.
Mai fanno mancare, anche in seguito, l’esortazione, il consiglio, la correzione opportuna.
Con le guide le anime hanno colloqui individuali e seminari di gruppo. La guida insegna a
meditare, a pregare, ad adorare la Divinità debitamente.
Le anime possono trovare, così, chi le guidi ad ogni livello: sia allo stadio in cui hanno
ancora la forma, sia agli stadi successivi, informali. Si potrà avere bisogno di guide ai vari
stadi della santificazione e, per ultimo, alla stessa resurrezione finale.
Al gradino dell’ascesa spirituale dove siamo giunti ora, ci interessa ribadire che
l’elevazione ha per meta la santificazione. Si tratta, qui, di porre in essere un “uomo nuovo”:
un uomo interamente rinnovato e liberato dalle scorie, dalle imperfezioni, dai difetti, dalle
lacune del corrispondente “uomo vecchio”.
Il “vino nuovo” del perfetto amore di Dio non lo si può immettere e conservare negli “otri
vecchi”, i quali scoppierebbero.
Così, per esprimere il medesimo concetto con un’altra immagine, non è possibile
consolidare veramente il nostro edificio se ci si limita a puntellarlo, a rabberciarlo, a fare
opera di restauro: occorre demolirlo fino alle fondamenta per costruire al suo posto un
edificio interamente rinnovato.
L’intero processo di elevazione si articola perciò in due momenti, che più che alternarsi
danno luogo a due successive fasi. Ci sarà quindi una prima fase negativa di demolizione o
svuotamento della personalità fino al conseguimento di quella che può definirsi una “seconda
morte”, un’autentica “morte iniziatica”. È solo a questo punto che può veramente decollare
una seconda fase positiva di riempimento, di costruzione della personalità nuova.
Ad Ambra chiedo se e quale esperienza ella abbia di Dio: Io ancora no, mi risponde,
perché devo liberarmi dei ricordi, degli affetti, del nome. (È la necessità preliminare della
spoliazione). Dopo verrà il momento del riempimento, della ricchezza, dell’amore divino.
Le chiedo che sorta di meditazione abbia praticato per portare avanti questa prima fase
negativa della propria ascesi. Perdita della forma, la chiama Ambra. Ed io chiedo: “In che
consiste concretamente?” Devi cercare con ogni mezzo di immaginarti senza la forma.
“Proprio in dettaglio, che si fa, per esempio?” Visivamente vedi il tuo corpo astrale
davanti a te e tu ti senti pura energia. “Vuoi dire che bisogna esteriorizzare, cioè proiettare
fuori di se stessi il corpo astrale come se appartenesse a qualcun altro?” Sì, come la tua
immagine nello specchio. Sono tecniche che a volte riescono e altre no. Poi alla fine ti trovi
senza forma. Ma ancora il cammino è lungo ().
Ci sono tecniche di isolamento. Si tratta di darsi una suggestione. La suggestione, in
questo caso, di sentire intorno a sé un silenzio assoluto, come quando ci si trova in cima a un
monte o in una stanza priva di qualsiasi rumore. Per ottenere tutto questo bisogna
perseverare molto a lungo, ci ammonisce la guida Tito ().
Suor Imelde, che al pari di Tonino frequenta un seminario di meditazione diretto da una
guida, illustra altre tecniche simili e complementari anch’esse: l’esteriorizzare la propria
forma come se riflessa da uno specchio, per poi immaginare che divenga sempre più piccola;
suggestionarsi di annullare la propria esistenza via via che si emette il respiro; immaginare

che certi suoni (che magari si percepiscono in atto) disintegrino il proprio esistere ().
Il tuo nome non ha nessuna importanza. Oppure: Tu sei solo energia. È una suggestione
che l’anima può ripetere a se stessa per porre in atto quella che ancora Tonino chiama la
tecnica della dimenticanza del mio nome ().
Alla perdita del nome è associata la perdita di tutti i propri ricordi personali: Se lo spirito è
preso dai continui ricordi terreni, non riesce ad acquistare una profonda spiritualità, spiega
la guida Giuseppe (), alla quale fa eco la guida Sino: Se tu, pur senza corpo, continui con i
ricordi terreni, non riesci ad elevarti ().
Ricordare vuol dire anche mantenere in vita i propri attaccamenti e risentimenti.
Dimenticare perfino quello che si è stati giova assai a smorzare la fiamma così difficilmente
estinguibile di quell’egocentrismo, di quel protagonismo, di quel porre se stessi al centro
dell’universo che è il principale ostacolo a una reale ascesa dello spirito.
È per questo che, come afferma Grande Aria, la perdita dei ricordi è un oblio temporaneo
funzionale alla santità ().
Si tenga ben presente che il dimenticare è solo temporaneo: tutti i ricordi, e quindi anche
tutti i vecchi rapporti e legami affettivi, saranno recuperati alla fine, quando non
rappresenteranno più alcun pericolo per l’ascesa spirituale, ma solo potranno costituirne il
completamento, la necessaria integrazione.
Non è per nulla da concludere che il soggetto debba confidare nella pura tecnica come
tale, cioè esclusivamente nelle proprie forze. Prima ancora che opera dell’uomo, la stessa
purificazione è opera di Dio.
L’anima si fa recettiva a Dio essenzialmente con la preghiera. La preghiera aiuta la
meditazione e deve perciò accompagnarla in ogni sua fase e grado. Dal canto proprio, la
meditazione aiuta la preghiera rendendo via via più intenso il rapporto con Dio ( e ).
A Livia, che pure partecipa a seminari del tipo cennato, chiedo: “Che fate nel ritiro?”
Preghiere, mi risponde, lodi, canti, tecniche, rivolti a Dio. “Le tecniche a qual fine sono
indirizzate?” Per distaccarsi sempre più (). Questo conferma l’importanza dell’invocare
Dio e dell’affidarsi a Lui già dalla prima fase.
Anche le “sette anime dell’antica Roma” con le quali, secondo ogni apparenza, avremmo
avuto comunicazioni per la durata complessiva di un paio di mesi, ci hanno riferito di avere
affidata l’intera loro elevazione, fin dal primo inizio, all’aiuto divino: Viri sapienti ci hanno
spiegato che dovevamo evolvere, dice Proculo. Allora si sono iniziate pratiche devozionali:
agli dèi offerte, canti, danze ().
“Come hai fatto a perdere la forma per entrare in una condizione di puro spirito?” chiedo a
Marco Flavio. i saggi ci iniziarono alle pratiche. “Quali?” Offerte agli dèi, inni, cantici,
danze. “Anche preghiere?” Pensieri di lode alla loro divinità. Mi lasciai andare alla loro
benevolenza: la loro saggezza sapeva i miei bisogni ().
E Lucrezio: Poi guide sapienti mi iniziarono alla nuova vita divina. “Con quali pratiche?”
Abluzioni, offerte, canti e danze. “Che cosa ne hai conseguito?” La dimenticanza della vita
terrena. “E poi...?” E ora continuo per arrivare alla deità ().
Preghiera, preghiera: è una forza insostituibile, esclama Una Intelligente Vibrazione
().
E Turbine osserva: La preghiera è un dono che molti non — scusa la parola — sfruttano
().
E Yale: [Anche la preghiera di voi viventi sulla terra] è utilissima per la nostra
santificazione ().
Al termine della fase ascetica, che con parole non mie ho definito di spoliazione e
svuotamento e di cui ho cercato di dare una qualche idea, al termine di questo primo stadio di
elevazione l’anima che ha tutto perduto, affetti, ricordi, sensazioni, viene a trovarsi in uno
stato mentale non piacevole di aridità. Qui essa prende coscienza del proprio nulla.
Un’entità che soggiorna in quella tappa del proprio cammino spirituale, richiesta di darci
un nome almeno simbolico col quale possiamo distinguerla, replica appunto che possiamo
ben chiamarla Nulla ().
In effetti, come spiegherà Fochino, nell’ultima fase dell’ascesi di spoliazione cioè in
quella dell’aridità si può dire che l’anima è completamente annientata ().

Già nel primo capitolo si accennato a Sincerity, entità femminile americana, che aveva
tanto desiderato e fatto per liberarsi della forma. Come si ricorderà, a un certo punto Sincerity
viene a trovarsi in una condizione mentale caratterizzata da un’atmosfera fredda, da
un’atmosfera umida.
Così come lei la caratterizza, è una condizione mentale dove non vi sono forme. al pari
delle forme umane vi mancano anche quelle animali e vegetali. È una condizione noiosa e
ben poco allegra: Immagina la terra senza uomini, animali e piante.
“In effetti, tu ti sei svuotata delle forme, dei desideri e degli attaccamenti terreni”, cerco di
spiegarle. “È per questo che ti senti così arida. Ma viene il momento che dovrai riempirti
della presenza di Dio e del suo amore: vedrai come ti riscalderai e ti renderai ardente come
una fiamma. Devi solo attendere con fiducia”. Tu mi dai un messaggio che mi conforta,
replica Sincerity ( e ).
Conforto a parte (che fa sempre bene), mi sono chiesto poi se mi ero veramente espresso
nei termini più propri. Qualche giorno dopo ho posto il problema a Debolezza. Come le ho
descritto la situazione di Sincerity, la nuova entità ha osservato: Si passa anche questo. È un
momento di transizione. Ricordava ancora qualcosa di terreno? “Mi pare di sì; ma poco,
penso”. (Ho poi ricordato meglio che in effetti Sincerity mi aveva detto, della propria
esistenza terrestre, che era vissuta nell’Indiana ed era morta nel : nient’altro). Allora non
è ancora completamente distaccata e non è ancora in grado di ricercare il calore divino.
“E quel freddo che cos’è?” domando ancora a Debolezza, che me la definisce l’aridità
dell’anima che si spoglia. “Quando poi le ho consigliato di pregare Dio perché, la riscaldasse
con la fiamma del suo amore e le ho insegnato una preghierina di tre-quattro parole, quel che
si dice una giaculatoria, da ripetere tante volte, ho fatto bene?” Il consiglio è buono, ma lei
non può ancora.
“Ti dico, allora, un’idea che le tue parole mi fanno venire in mente: può essere che quello
sia il ritorno di un’ultima fase di purgatorio per consentirle di purificarsi delle ultime scorie?
Sei d’accordo?” Sì, se lei è ancora legata alla terra ().
A quanto pare, Vuotor (altro nome simbolico chiaramente indicativo) si trova, rispetto a
Sincerity, qualche passo più in là: Sono senza nulla, dice. “Ti sei liberato della forma?” Sì.
“Ricordi se sei stato uomo o donna sulla terra?” No.
“Come senti la presenza di Dio nel tuo intimo?” Sono agli inizi e Dio è nella mia
preghiera continua. “Senti Dio come un fuoco?” No, sono in comunione con Lui, ma fuoco e
ardore devono ancora invadermi. “Abbiamo parlato, un paio di volte, con un’anima che
aveva perduto la forma e si trovava in uno stato di aridità penosa: aveva come il senso che
tutto fosse svuotato e senza vita”. (È con queste parole che, lì per lì, rievoco l’incontro con
Sincerity). Lo sento e mi rende infelice. “Sei, allora, anche tu in uno stato di aridità analogo?”
Sì. “C’è in te sofferenza?” Sì, ma con speranza.
“Sei mai stato in purgatorio, a suo tempo?” Sì, tutti, più a lungo o meno. “Vuotor, mi son
fatto l’idea che l’esperienza della nebbia e questa siano entrambe penose e necessarie per la
purificazione: devono pur avere qualcosa in comune”. La differenza è questa: nella nebbia
soffri la desolazione totale, nello stato di aridità c’è la speranza totale.
“L’esperienza della nebbia è definibile come ‘purgatorio’?” Sì, ma solo in un contesto
cattolico. “E in un contesto meno confessionale e più ecumenico e lato come converrebbe
chiamarla?” Espiazione.
“E la tua esperienza attuale...?” È uno stato di transizione. “Come va designata in maniera
più specifica?” È un’esperienza di aridità.
Che una tale esperienza di aridità sia sulla medesima linea di quella della spoliazione (o
svuotamento), non solo, ma anche di quella che a suo tempo è stata l’esperienza dell’espia-
zione dovrebbe risultare abbastanza chiaro. Tutte e tre, in fondo, svolgono una funzione
analoga: purgare l’anima dalle scorie che l’appesantiscono.
L’aridità, cioè l’esperienza del proprio nulla, è, direi, la conclusione dell’intero processo.
È un’esperienza, quest’ultima, che, vissuta con la massima e più drammatica intensità,
dispone l’anima a cercare in Dio, e in Lui solo, il proprio Tutto, la Sorgente di ogni essere,
valore e pienezza.
Nel primo capitolo si è parimenti accennato a Don Guglielmo, defunto parroco di un

piccolo paese dell’Abruzzo. Pure costui ha trascorso un periodo in purgatorio e si trova ora in
una condizione di paradiso, seppure imperfetta, nelle sfere di luce dove ancora si aggira nella
sua forma similcorporea di vecchio prete di una volta sullo sfondo di un ambiente mentale
similterreno.
Gli chiedo: “Voi anime che vi siete già fatte il vostro purgatorio, se poi vorrete rendervi
più perfette, dovrete passare per ulteriori esperienze di purgazione?” Per condizioni
differenti, è la risposta di Don Guglielmo, come si ricorderà.
A mia volta incalzo con un secondo quesito: “Ripeto per verificare se ho capito bene: mi
dici che, se vorrete salire a perfezione più alta, dovrete avere non più esperienze di purgatorio
in senso stretto (ché quello ve lo siete già fatto), ma esperienze di diverso genere pure
definibili, in senso più lato, come purgatoriali, cioè di purificazione, di smaltimento di
vecchie scorie: giusto?” Sì ().
Chiederò, molto dopo, a Yale: “Ci sono ulteriore fasi di purgatorio, o equivalenti?” Ed
ecco la replica, concisa e pur estremamente significativa, di quest’ultima entità: Finché
l’anima non è santa deve purgarsi dalle imperfezioni ().
In un tale processo di purificazione, tra le varie cose che l’anima si lascia dietro di sé c’è
l’aspetto umano, la forma similcorporea. Tale forma non si viene, però, a perdere tutt’ad un
tratto: c’è una fase intermedia in cui essa va e viene, sparisce e poi ritorna.
Ogni tanto la prendo, confida Allegra. Ma non è il corpo, aggiunge con una nota quasi di
rimpianto ().
Se ti abbassi alla sfera terrestre per comunicare, la forma umana si solidifica, osserva
Romano, vecchio fascista ferventissimo. “Perciò”, gli chiedo, “in questo momento tu hai
l’aspetto umano?” Sì: in camicia nera, naturalmente ().
A Nanda, che mi ha riferito che il suo aspetto va e viene, dico che questo dovrebbe essere
un buon segno: dovrebbe significare che ella si va emancipando dalla forma terrena e sta
divenendo più spirituale. Sì, ma ogni tanto è là, obietta Nanda. “Che cosa: la terra?” chiedo.
“Vuoi dire che ogni tanto l’ambiente astrale torna a rassomigliare alla terra?” Sì ().
“Che fai di bello nel tuo ambiente astrale?” domando a Empedocle, il quale risponde: A
volte vado per le strade, ma a volte non ci sono. “Non ci sono in che senso?” Diventano come
nuvole. “E tu hai l’aspetto umano?” Mentre ci sono le strade, sì. Poi non più (). Questo ci
conferma che tra il vedere se stessi in forma umana e gli altri e le cose e l’intero ambiente
come sulla terra c’è un chiaro e deciso parallelismo.
Un parallelismo analogo, ma a quanto pare meno stretto, meno tassativo, c’è tra il vedere
le forme e il ricordare. Quando mi immergo nei ricordi terreni, confida Giorgio, la mia figura
è come quando ero al mondo. “E in quei momenti qual è il tuo ritratto?” Non alto. Robusto,
ma non troppo. Castano con pizzetto e baffi. (È un uomo del secolo scorso). Aspetto oltre i
. “E a che età sei trapassato?” . “Sicché sei ringiovanito”. Sì. Altre volte non c’è più una
forma, specie dopo ritiri, meditazioni e preghiere ().
Antonio M. ha, sì, ancora l’aspetto umano, però evanescente. “Come hai conseguito un
tale affinamento?” chiedo. Risponde: Preghiere, meditazioni, adorazione ().
Anche l’aspetto di Maila va e viene; ed è perloppiù evanescente, a volte più solido ().
La stessa evanescenza sembra andare di pari passo con la progressiva perdita della
memoria: Piergiacomo ha una forma umana a momenti, poiché, spiega, quando non ricordo
sono più evanescente ().
Le correlazioni enunciate valgono solo nei termini più generali, mentre, di fatto, le
situazioni individuali sono ad ogni momento diverse: può così darsi che un’anima conservi la
forma ed abbia invece perduto tutti i ricordi, o perlomeno la memoria di molte cose, come
Cathy (); così come può anche essere che un’altra anima abbia perduto la forma e tuttavia
conservi tanti ricordi ben vivi, come Arthur ().
Dice, di sé, Noemi: Ora a momenti ricordo, poi no. Vedo le forme, poi più. È un passaggio
alla condizione di pura energia ().
E quando ci si affaccia a questa nuova condizione che cosa si vede, che cosa si percepisce
di nuovo? Sto in un ambiente, ci attesta Allegra, a volte (e qui si ferma pochi attimi, come a
cercare la parola) morbido, ossia soffice, come se mettessi in terra una mano nella spuma del
mare. Tutto il tuo essere è immerso in questa sensazione ().

Allorché lo stadio formale è decisamente superato, l’esperienza cui Allegra si affaccia
diviene qualcosa di permanente, di stabile.
Anzitutto: come sente, come percepisce se stessa l’anima che ha raggiunto la condizione
informale? Un’entità che non si è nominata, ma che comunque si è autodefinita un’anima che
tende alla perfezione, dice di sé: Non ho più terreni e astrali ricordi. Una condizione di pura
energia intelligente sono ().
E un’altra anima, parimenti innominata per temporaneo oblio della propria identità terrena,
alla domanda “Hai perduto la forma?” replica: Sì. Ora sono un’intelligente vibrazione ().
E come percepiscono queste pure intelligenze il loro nuovo ambiente mentale? Come
percepiscono le altre intelligenze? E che tipo di rapporto hanno con queste? Passeremo, ora,
in rassegna una serie di risposte o – forse meglio – i tentativi di dare una risposta che sia in
qualche modo comprensibile. Come dice una terza anima (innominata al pari delle altre due),
si tratta di una condizione di pure sensazioni spirituali che male si esprimono con parole
().
Circa la sua condizione, Bene ci dice: Sono in un’atmosfera rarefatta ().
Goffredo A. definisce la sua sfera senza forma e anche un ambiente mentale che poi passa
a caratterizzare così: Non spazio, non tempo, non luce, non tenebre, ma insieme d’energie
vibranti ().
Scordarello vive in un ambiente dove tutto è aereo. Lo stato è quello delle energie vibranti.
Le emozioni sono espresse con variazioni di energie, i movimenti con variazioni di vibrazioni
().
Veloce Anima sta in un ambiente aereo dove immagini e forme più non sono. Non si
hanno sensazioni, ma vibri alla più vicina per comunicare ().
Non per definire le sua nuova condizione, ma per darne almeno un’idea, Yale adopera due
aggettivi: vaporosa, ovattata. Egli percepisce sensazioni, energie, stati emozionali. Le anime
sono presenze intelligenti ().
Altro tentativo (da parte di altra anima innominata) di dare un’idea della sfera informale: È
un ambiente (ma non è la parola adatta) vaporoso, impalpabile. “Che forme vedi?” è la mia
domanda forse un tantino trabocchetto. Forme no, ma presenze è la risposta pronta e corretta.
“Queste presenze come le percepisci?” In termini terreni diresti che le avverti, le capti, ma è
diverso ().
Ulderico, che non ha raggiunto ancora stabilmente la condizione senza forma, va a visitare
una sfera di questa condizione e così ne parla: Avverti presenze, ma non le vedi. C’è
un’atmosfera rarefatta, musiche e colori. I contatti sono mentali ().
Un’anima che ha perduto la forma se la può ricostituire, all’occasione, temporaneamente,
in maniera da potersi manifestare in una sfera formale o, al limite, anche sulla terra
(apparizioni, materializzazioni). Goffredo A., al quale ho chiesto se abbia ancora il suo
aspetto umano, risponde: Lo prendo se voglio. “E quando assumi un tale aspetto puoi
prendere quello che vuoi o ne prendi uno fisso?” Quello che si vuole è più difficile. Il tuo che
avevi in terra è più semplice. “Hai l’aspetto umano in questo momento?” Sì. “Corrisponde a
quello medesimo che avevi sulla terra?” Sì.
È da notare che, avendo assunto una forma umana, Goffredo vede non solo se stesso ma
anche le cose e le persone che costituiscono l’ambiente terreno dove egli si manifesta. “Che
vedi esattamente?” [Essendo] sospeso vedo un tavolo e due persone. Su mia richiesta egli
descrive poi la nostra casa un po’ in dettaglio ().
“Sei stato un uomo o una donna quando vivevi sulla terra?” chiedo ad Ali (nome
simbolico: plurale di “ala”). Uomo, ma posso essere donna. “In vita terrena eri un uomo?” Sì.
“Che ‘puoi essere donna’ che cosa vuoi dire?” Se vado in una sfera dove ci sono anime che si
sono ricreate un aspetto umano, io posso prendere sembianze femminili ().
Sono di norma le guide che, avendo progredito fino a liberarsi della forma, riassumono
quella più adatta, a seconda delle circostanze, quando scendono nella sfera similterrena ad
accogliere le anime nuove arrivate e più tardi a promuoverne l’elevazione.
La forma scelta dalla guida, specialmente quando accoglie l’anima per la prima volta sulla
soglia dell’altra dimensione, dovrebbe, in linea di principio, corrispondere alle attese del
nuovo disincarnato: c’è chi si aspetta di incontrare un angelo, chi un vecchio saggio, chi un

santo monaco, chi una figura femminile; e la guida fa, anche in questo, del suo meglio.
L’anima che assurge a un’esistenza mentale non più dominata dalla forma realizza, per ciò
stesso, quella che una certa terminologia designa come la “spiritualità”, distinguendola dalla
“santità” che rappresenta un grado ben ulteriore.
Vediamo come la “spiritualità”, intesa in questa accezione, viene distinta dalla condizione
astrale formale. L’entità innominata che si è autodefinita un’intelligente vibrazione così
riassume il suo curriculum: Sono stato a lungo in solitudine per vari peccati terreni. Poi capii
che l’esistenza spirituale non poteva essere quella. Così avvicinai spiriti più elevati, dai quali
appresi le tecniche per migliorare la mia anima ().
Si rilegga la frase: Poi capii che l’esistenza spirituale non poteva essere quella. Vera
“esistenza spirituale” appare, appunto, quella ormai emancipata dalla forma.
continua........

giovedì 27 gennaio 2011

L’esistenza astrale

“E quando finalmente sei uscito dalla nebbia...” Fu un momento esaltante: luce, luce, luce.
Così un’altra anima, Orazio, ricorda il suo venir fuori dalla condizione oscura, solitaria,
desolata dell’espiazione per approdare alle sfere astrali dove si può vivere un periodo più o
meno lungo di esistenza libera e felice (302).
L’approdo alla luce è esperienza che accomuna sia le anime che escono da un periodo di
espiazione, sia le altre anime. che, non essendo gravate da particolari scorie, arrivano alle
sfere astrali senza dover passare per quella penosa condizione intermedia.
Sono nella luce: è l’espressione con cui Livia qualifica la propria appartenenza alle sfere
astrali di cui si è fatto cenno e di cui ora si cercherà di dare un’idea più chiara (7).
Non sempre le descrizioni più precise di un tale stato riescono a veicolarsi, attesa la
relativa impreparazione di chi tra noi vivi sulla terra dovrebbe recepire il discorso: tuttavia
l’espressione luce, luce, luce appare la più ricorrente un po’ in tutte le comunicazioni di
queste anime.
È un’espressione che si attaglia a qualificare anche e soprattutto le sfere più alte, di cui
dirò più appresso: la vita ultraterrena si svolge ormai sotto il segno della luce in proporzione
crescente.
Dice Maria: La cosa più bella era che vedevo, vedevo, vedevo. Maria era una vecchia
decrepita, divenuta quasi cieca e completamente sorda. Confinata nel suo letto, aveva vissuto
un’esistenza ormai puramente vegetativa in una casa di riposo per anziani. Le chiedo: “Che
cosa hai visto in particolare al tuo approdo all’aldilà?” Mi risponde: Colori, il sole, il verde e
l’erba di un immenso prato. E poi mi sono accorta che sentivo, sentivo, sentivo musiche,
canti di uccelli, lo stormire del vento.
Giova, qui, riportare ancora qualche altra espressione di quest’anima che rievoca il suo
trapasso: ...Mi sentivo bene e avevo riacquistato tutte le facoltà. vista, udito. Potevo
camminare. Ero diritta in carne (88). Ora che il vecchio organismo con la sua decadenza
estrema e con i suoi acciacchi e malattie è venuto meno, l’anima è libera e tale si avverte
nella pienezza delle sue facoltà, che erano rimaste pur sempre inalterate per quanto fossero
temporaneamente impedite dalla prigione corporea.
Ricorda un altro infermo, Livio: Potersi muovere liberamente senza l’aiuto del servo mi
rendeva felice... La cosa meravigliosa è il benessere: non sentire più i dolori di un corpo
vecchio e ammalato (291).
Nell’ambiente mentale di quelle prime sfere dell’altra dimensione che per essere più
vicine alla terra le appaiono simili, alla fine ti accorgevi, ricorda ancora Orazio, che stavi
muovendoti senza camminare. “Cioè”, chiedo io, “senza muovere le gambe, senza mettere i
piedi l’uno davanti all’altro con moto alterno?” Sì. “Avevi i piedi alquanto sollevati dal
terreno (sempre s’intende dal terreno astrale)?” La sensazione come se scivolassi (307). Il
senso di leggerezza che l’anima prova in sé trova la sua espressione simbolica in questa
immagine visiva di se medesima, cui dà forma con un atto mentale.
L’anima si avverte leggera, al punto da potersi spostare con la velocità del pensiero
dall’una all’altra sfera e anche da un luogo terreno a un altro luogo sito a distanza geografica:
basta a un’anima concentrare il pensiero su un qualsiasi luogo anche all’altro capo del
mondo, ed ecco che in un attimo si trova là.
Così come avverte se stessa incredibilmente leggera, l’anima si accorge che invero tutte le
realtà dell’altra dimensione hanno la medesima leggerezza: “Facevi anche nella sfera i
trasporti di vino?” chiedo a Opimio, che mi risponde: Sì. Se volevo, sì. Ma tutto era lieve.Un’anfora sollevata e messa sul carro non è pesante (288).
Tale estrema leggerezza delle realtà della sfera similmondana dell’altra dimensione è
spiegabile col fatto che esse hanno un puro carattere mentale. Chiedo a Umberto: “Nella tua
sfera, quando tu cammini, come ti pare il terreno su cui posi i piedi: soffice o duro?” Solido,
mi risponde. È materia mentale (36). L’ha creato, sì, il pensiero; ma si tratta di un pensiero
forte, che pone in essere creazioni mentali forti.
Variazioni sul tema, per acquisire meglio il concetto: “Se tu”, chiedo a Ubaldo, “nel tuo
ambiente astrale tocchi un albero, come ti appare: solido o evanescente?” Solido, mi risponde
senza esitazione. “E se dai un morso a una mela...?” È come la terrena, ma sei tu che non la
gusti. “È insipida, vuoi dire”. Sì. Non sanno di niente. “Un’anima femminile della tua sfera
dovrebbe presentarsi parimenti concreta. Ora, se tu ti avvicini a una bella donna astrale e
l’abbracci, che sensazione provi?” La senti solida,ma non c’è l’impulso sessuale (211).
Domande precise vogliono repliche il più possibile precise e circostanziate. E ottengono,
all’ultimo, risposte come questa che segue. Al quesito “Un albero astrale ti appare solido o
nebuloso?” Maila replica: Dipende dalla mia consistenza. “Cioè...?” chiedo ancora. Ed ecco
che l’entità distingue tre casi.
1) Se sono solo energia, nulla. (In altre parole: se non ho più la forma umana, non vedo
nemmeno le altre forme astrali similterrene).
2) Se la mia consistenza è debole, tutto mi appare affievolito. È la situazione dell’anima
che sta perdendo la forma e diviene sempre più evanescente in un ambiente mentale che le
sembra divenire sempre più evanescente anch’esso).
3) Quando avevo una consistenza stabile, tutto era solido. (È la situazione che stiamo
considerando ora, per poi passare a quella n. 2 e infine a quella n. 1, dove le stesse
articolazioni rispettive di questa replica diverranno via via più comprensibili).
Quale giustificazione razionale possiamo dare di questo fatto apparentemente cosi strano:
che cioè le sfere più vicine alla terra dell’aldilà risultino affollate di esseri così simili a quelli
del nostro mondo? Li creiamo noi con le energie spirituali, è la spiegazione semplicissima di
Livia (7). Sono tutte creazioni della mente: e si può ben capire come tale creatività si orienti
in maniera assai più spontanea e facile verso quanto corrisponde alle abitudini mentali del
soggetto.
È per questo che, dal proprio soggiorno nelle sfere iniziali di luce dominate dalla forma,
Orazio può ricordare: Si viveva una vita quasi terrena. Avevi gli abiti e incontravi amici. Si
poteva, con la forza del pensiero, ottenere ciò che desideravi. Era, insomma, una sfera simile
alla terra.
A questo punto l’antico maestro di scuola aggiunge: Se avessi voluto, avrei ricreato anche
la mia aula. “Ma te ne sei guardato bene”, obietto in tono scherzoso. Sì, sì, sì, replica: per il
momento dei suoi scolaretti ne aveva abbastanza.
Poteva, piuttosto, avvertire il bisogno — ovviamente non fisico, sibbene mentale, di pura
abitudine mentale — di avere ancora una casa. Alla domanda “Avevi una casa?” replica in
modo affermativo precisando: Con altri. “Della tua stessa famiglia?” Sì, parenti.
“C’era sempre il cielo luminoso? Veniva mai la notte, l’oscurità?” Se lo pensavi, si. “Se lo
pensavi individualmente?” Collettivamente. Così pure avviene in genere la costruzione di
oggetti: si possono fare da soli, se sono semplici; ma, se complessi, ci vuole il lavoro mentale
di molti.
Non starò, qui, a descrivere minutamente tutte le modalità dell’esistenza nella forma. Mi
limiterò a darne qualche cenno di massima. L’esistenza spirituale nelle sfere similterrene è
come un lungo sogno in cui le anime possono vivere qualche esperienza che maggiormente le
gratifica a seconda delle inclinazioni e delle abitudini mentali di ciascuna. È una sorta di
sogno collettivo, sognato in comune.
In comune tra chi? Per necessità di cose, le anime disincarnate si raggruppano a seconda
della loro potenzialità di sognare le medesime cose. In altre parole, si raggruppano per
affinità.
La loro vita ha ormai un puro carattere mentale; ma i contenuti sono ancora terreni:
corrispondono agli attaccamenti per queste o quelle determinate cose, per questo o quel modo
di vivere.Quei contenuti vanno sognati a oltranza, fino a che, sopraggiunta la sazietà, l’anima
spontaneamente non se ne liberi. Un tale smaltimento dei residui attaccamenti terreni può
essere facilitato dal modo in cui l’anima decide, da sé, di orientarsi: si tratta, per essa, di
optare per una vita spirituale più pura e più alta e di perseverare in tale decisione col
necessario impegno.
È, poi, in atto un processo di disincarnazione spontaneo, in forza del quale molti residui
psichici vengono via via a cadere. L’anima viene, così, a spogliarsi di quanto, dopo la morte
fisica, le era rimasto in termini di corporeità più sottile. Col venir meno della corporeità viene
meno la memoria, che alla corporeità pare strettamente legata.
Ma quali sono le possibilità che la vita astrale formale offre a ciascun’anima? L’anima può
incontrare di nuovo i propri cari che sono trapassati prima di lei, e può anche intrattenersi con
i più cari amici. C’è, però, qui una limitazione: bisogna che con amici e familiari ci sia una
reale affinità, una reale intesa, e che i loro cammini coincidano almeno per un tratto con
quello del nostro disincarnato.
È un affollarsi di parenti o amici che accoglie Albino al risveglio dal sonno rigeneratore.
Quando però gli chiedo se qualcuno mancasse all’appello, risponde che, sì, un fratello
risultava assente. “Come mai?” Altra sfera e impossibilità di venire (374).
A Giorgio, che nell’altra dimensione soggiorna coi nonni e con una zia, chiedo dei
genitori: Non li ho mai incontrati, replica, e il desiderio era grande. Mi è stato spiegato così.
diverso cammino spirituale. Solo nel mondo perfetto ci incontreremo (277).
Questo che ho detto ora deluderà qualche lettore, la cui massima aspirazione sia di
incontrare nell’aldilà un’anima cara. Per quanto io desideri offrire a tutti il massimo conforto,
non posso farlo a tutti i costi, ma solo nel rispetto assoluto dei dati che mi risultano. (Nel
rispetto dei dati, ho detto, non della verità, che chissà poi qual è). Mi è comunque lecito
confortare quel lettore, o lettrice, con le due considerazioni che seguono.
1) L’amore che unisce due persone, la loro intesa profonda è il fattore essenziale e primo
che opererà nel senso di farle incontrare di nuovo e stare assieme nell’altra dimensione.
2) Se il vero amore è eterno, e se esso esige che coloro che si amano finiscano per riunirsi
senza più separarsi, l’eternità da vivere insieme è quella dove ci si immetterà al compimento
ultimo di quel processo di elevazione, di purificazione, di santificazione, che pur sempre
esige temporanei distacchi, data la diversità inevitabile dei cammini individuali. L’eternità da
vivere insieme è la condizione finale e definitiva, cui noi accederemo per ultimo, allorché ci
ridesteremo dal sonno della morte. Lasciando la condizione disincarnata (che è pur sempre
una condizione diminuita), noi allora ci reintegreremo a tutti i livelli per attuare in noi stessi
la pienezza della vita sia divina che umana.
Nell’altra dimensione si può godere la compagnia di anime in parte già note e di altre non
conosciute ma congeniali (322).
Tutti questi spiriti si possono, sì, definire amici, ma non è l’amicizia terrena: è più
un’affinità che ti lega e non una carnalità, spiega Joseph (322).
Nell’altra dimensione si può riprendere e continuare la propria vita di famiglia in
compagnia della persona amata o delle persone care lasciate e poi ritrovate.
Grazie all’aiuto sollecito — e ovviamente gratuito — di anime esperte nelle tecniche di
creazione mentale si può ottenere un facsimile astrale della casa che si possedeva sulla terra,
così come si può vivere in un facsimile astrale del proprio amato villaggio, paese o città, che
apparirà creazione collettiva di sempre più vasto impegno. Si potrà tornare a vivere, in
qualche modo, nel proprio ambiente, tra gente della propria epoca con quel tipo di abitazioni
e di arredamenti, di mezzi di locomozione, di usi e costumi.
Si potrà avere esperienze e compiere ricerche e studi che non si siano potuti portare avanti
sulla terra a causa di una morte avvenuta in età immatura. Tale è il caso, per esempio, dei
bambini che vengono educati nelle scuole astrali e si maturano e crescono attraverso
esperienze che in qualche modo rimpiazzano e surrogano quelle che sulla terra gli sono state
negate.
In quanto e fin quando l’anima ha una forma similcorporea, la crescita che avviene via via
troverà la sua espressione simbolico-visiva nell’aspetto umano, che anch’esso cresce e si
sviluppa in proporzione.
Anime appassionate agli studi potranno continuare ad istruirsi frequentando scuole anche
di livello superiore. Anime appassionate della lettura potranno continuare a leggere o
captando mentalmente il contenuto di libri esistenti sulla terra; o addirittura, se ancora
avvertono il bisogno psicologico di farlo, sfogliando libri astrali. Si tratta di volumi che in
qualche modo riproducono quelli terreni. Se ne scorgono i caratteri di similstampa su pagine
che, voltate, possono dare l’impressione anche similacustica del caratteristico fruscio dei libri
esistenti nel nostro mondo.
Così, per quanto possa parere strano o anche buffo, o al limite ridicolo, nelle sfere formali
dell’altra dimensione si possono trovare un po’ tutte le cose, le attività, gli hobbies, i giochi,
gli edifici, le istituzioni che esistono sulla terra. Son tutte realtà mentali e costruzioni mentali,
che vengono poste in essere individualmente o collettivamente, a soddisfare quelli che delle
anime sono i residui bisogni psicologici non ancora smaltiti.
In questa sorta di mondo parallelo un’anima appassionata del proprio lavoro potrebbe
continuare a svolgerlo, o potrebbe svolgerne uno simile per soddisfazione propria e per utilità
comune.
È un mondo parallelo dove, a quanto pare, si compongono poesie e musiche per recitare le
prime in accademie poetiche ed eseguire le seconde in cooperazione con altri in sale per
concerti.
È un mondo parallelo dove, a quanto pare, si creano opere di arte figurativa. Questo si
realizzerebbe con puri atti di creazione mentale diretta e immediata; o anche, se si preferisce,
creando prima, per mezzo di puri atti mentali, scalpelli, pennelli, tele, colori e poi scolpendo
o dipingendo proprio come fanno scultori e pittori qui su questa terra. Ci può essere, invero,
un bisogno psicologico non solo di creare certe opere, ma di crearle proprio con quelle
tecniche precise.
Quello astrale è un mondo parallelo dove, sempre a quanto pare, si può andare a caccia o a
cavallo o in bicicletta o in automobile o in barca; dove si può correre e danzare e compiere
operazioni mentali sostitutive del mangiare, del bere, del fumare e, specialmente ora, del
drogarsi.
Oltre a svolgere le attività che si vuole in un ambiente familiare, i disincarnati, ove ne
avvertano il desiderio o l’inclinazione, possono esplorare gli ambienti più diversi.
Si possono visitare le più diverse sfere: e questo in forza dell’interesse e del desiderio di
entrarvi in contatto, ma anche nei limiti in cui un tale contatto è reso possibile dal grado di
affinità.
Si può di nuovo scendere sulla terra ed entrare nella propria casa di una volta, dove ancora
abitano le persone di famiglia che lì si sono lasciate.
Si possono visitare gli amici, invisibilmente, nelle loro abitazioni e nei luoghi che
frequentano per seguirne la vita, anche per aiutarli, per dare loro ispirazione ed energie
spirituali nei limiti del possibile.
Ci si può manifestare in sedute medianiche. Si possono fare viaggi nei luoghi geografici
più lontani. Si può anche viaggiare nel tempo per conoscere le epoche passate. Naturalmente
è necessario apprendere e porre in atto le tecniche giuste, altrimenti si rischia di captare non
tanto gli eventi del passato come sono accaduti realmente, quanto piuttosto le immagini
spesso fantasiose e distorte che molte persone se ne fanno; e, analogamente, si rischia di
vedere certi lontani luoghi non tanto come sono realmente, quanto piuttosto come sono
falsamente immaginati e vagheggiati.
Non sempre le incursioni che i disincarnati compiono su questa terra hanno un carattere
positivo. Vi si può scendere per imparare o per insegnare, per portare a noi un messaggio
utile ai fini del nostro orientamento spirituale, ma anche per soddisfare un desiderio che in
certi particolari momenti del proprio impegno di elevazione l’anima farebbe meglio a non
assecondare.
Si può anche scendere sulla terra al fine di procurarsi gratificazioni del livello più basso:
un’anima violenta può gratificarsi nell’assistere a scene di violenza; un defunto bevitore che
non si sia ancora liberato delle scorie del proprio antico vizio può trarre piacere dal
frequentare osterie, dove ancora gli sia dato in qualche maniera di assaporare il gusto del vino
prediletto; un lussurioso può, sempre invisibilmente, frequentare bordelli o spiare coppiette o comunque immedesimarsi il più possibile con chi si accinge a compiere un atto sessuale.
Quando poi un’anima pervenga addirittura a possedere una persona vivente o comunque a
controllarla in qualche modo, a influenzarne le azioni, la sua bramosia di soddisfare certe
inclinazioni vicariamente può indurla a fare del tutto per spingere quella persona a compiere
ancora e ancora quei corrispondenti atti.
Come si vede, non tutto quel che è possibile fare è parimenti accettabile, consigliabile e
lecito. Ci sono, poi, iniziative che, per quanto possano convenire all’anima disincarnata fino a
che essa permanga a certi stadi evolutivi, sarebbero controproducenti in quegli stati ulteriori,
nei quali l’anima fosse ormai decisamente incamminata sul sentiero dell’elevazione, in un
impegno che esige un’attenzione esclusiva e la massima concentrazione di forze.
Il periodo del soggiorno dell’anima disincarnata nelle sfere astrali della forma è pur
sempre qualcosa di simile a una lunga vacanza. Quando si è in vacanza non disdice un po’ di
turismo: e l’andare in giro di qua e di là consente sempre al soggetto di compiere nuove
esperienze che, alla loro maniera, non possono non essere formative della sua personalità
complessiva integrale. Con tutto questo, il soggiorno nel mondo astrale rimane comunque
definibile come una sorta di lunga vacanza che precede il lungo, duro, formidabile impegno
dell’elevazione e della santificazione.
Un’anima che, avendo obliato il proprio nome, mi suggerisce di chiamarla Attesa (nome
d’arte, o di battaglia, coniato lì per lì) mi conforta in questo senso con le parole che qui
riporto: Gli stadi di evoluzione spirituale sono individuali e soggettivi. Tu che sei curioso di
tutto potresti non volerti evolvere per godere esperienze che nulla hanno con l’amore di Dio:
volare, entrare in case, tornare in epoche passate (sono solo esempi). A un certo punto ci si
viene a trovare dinanzi a un bivio: o... inizi subito la via della purificazione, o non vorrai
avere esperienze come quelle dette prima? “Beh, io sono senz’altro dell’idea di intraprendere
il cammino dell’elevazione spirituale, religiosa, fino all’obiettivo della santificazione. Però
non vorrei farlo proprio subito, immediatamente dopo il trapasso. Vorrei trattenermi per un
poco a esplorare l’aldilà nelle sue varie sfere e magari fare qualche capatina anche
nell’aldiquà, per vedere le cose che non ho visto ancora, per ritornare ai luoghi più amati.
Faccio male?”
Bravo! Hai risposto con onestà e con intelligenza. È ipocrito (sic) colui che risponda di
non voler volare eccetera. Reputo falsa quell’anima che non vuole passare esperienze.
Costruirsi un piccolo oggetto mentale, tornare in un’epoca passata, tornare invisibilmente
presso i cari lasciati sono emozioni meravigliose che nessun’anima bella perde.
Questo, prosegue Attesa, non vuol dire che, una volta fatte simili esperienze, l’anima non
inizi il suo cammino, prima di purificazione e poi di santificazione. “Solo che”, aggiungo io,
“una volta iniziato il cammino bisogna lasciar perdere tutto il resto”. Questa è la condizione,
perché, quando l’anima è sazia di tutte le curiosità, con consapevolezza inizia la via, certa
che avrà tutto centuplicato. “Riavremo, quindi, centuplicate anche tutte quelle conoscenze
che avremo dovuto lasciare, o mettere in frigorifero”. Sì, sì. Nulla si perde e nulla si
distrugge. In Dio tutto si conserva intatto (239).
Già mesi prima avevo confidato alla guida Sino: “Quando verrò da voi nell’altra
dimensione, una volta che avrò scontato peccati che non mi sarà riuscito di espiare su questa
terra, senti che bel programma che ho: prima mi riposo, perché un buon periodo di riposo mi
ci vuole”. È di tutti. “Poi vado a gironzare e a sficcanasare per il mondo spirituale di qua, di
là, dappertutto. Mi sarà consentito?” Sì. “Infine mi affiderò a voi guide e sarò un allievo
modello. Che ne dici del mio programma?” È un buon percorso, mi ha confermato la cara
guida (120). Almeno per me, senz’altro per molti; forse non proprio per tutti, come poi mi ha
fatto chiaramente capire. Ma ciascuno troverà la propria strada.
Ho cercato qui di svolgere il tema – invero non facile – delle possibilità che, sempre a
quanto pare, avremo in questa prima tappa della nostra vita dopo la morte, dopo essere entrati
nelle sfere di luce. Un’esemplificazione abbastanza varia è stata già offerta in merito nei
Colloqui con l’altra dimensione oltre che in Eternità.
Ma la grande chance, la grande opportunità che la vita dopo la morte soprattutto offre è
quella dell’ascesa spirituale-religiosa. Le attività umanistiche, le scienze e le tecnologie, la
cultura e le arti, l’impegno politico-sociale appartengono più, per loro natura, alla terra. È, all’opposto, con riferimento al mondo delle anime disincarnate, cui ormai appartiene, che il
giovanissimo Tino mi dice: Pensa, questo mondo è proprio adatto alla religione (356).
Un’altra anima, dopo avermi detto che posso chiamarla Bene, senza ovviamente
confonderla col Bene sommo, dice di sé: Sono un bene che vuole far sapere che il nostro
mondo è effettivamente realizzante per l’anima (233).
Sempre parlando della dimensione spirituale dove la mancanza del corpo cambia di molto
le cose, Agostino dice che quel modo di esistenza è finalizzato essenzialmente alla
santificazione. Ne consegue che i valori dell’umanesimo vi sono trascurati. In attesa di quella
resurrezione finale che li reintegrerà in una con la reintegrazione della corporeità, della
materia, finché perdura la condizione disincarnata si punta più sulla preghiera, sulla tecnica
della meditazione, della concentrazione, della contemplazione a scapito della storia, della
scienza ecc. (125).
Pur in forma diversa, il concetto pare sostanzialmente ribadito in queste parole di Attesa:
Sappi che la saggezza è del mondo. L’amore impera qui. Tutto ciò che è cultura non viene
dal nostro, ma dal sapere terreno (239).
Ne deriva, chiaramente, che i problemi che un’anima deve affrontare nell’altra dimensione
sono di natura ben diversa da quelli nostri; e nulla dice che siano meno ardui, se dobbiamo
prendere sul serio, per esempio, le testimonianze che seguono: Sono in una condizione dove
la terra non dà problemi, dice Belive. E al mio “Beato te!” replica: ...Ma dove un cammino
spirituale è più irto di problemi (336).
Anzi, ci previene Grande Aria: Il lavoro spirituale è qui più pesante di quello terrestre
(212).
La vita ultraterrena delle sfere astrali può arricchire la personalità di coloro che in
definitiva sono destinati a risorgere a vita piena. In rapporto a questa espansione integrale
della personalità tutto può servire di quel che noi impariamo sia sulla terra, sia in quella sfera
dove l’esistenza terrena pur si continua in qualche modo. La vita similterrena delle sfere
astrali va, perciò, fruita per tutto quel che può dare.
A un certo momento va, però, abbandonata. Al di là di un certo limite ogni attaccamento
ad essa è di troppo e finisce per dimostrarsi negativo. E di chiaro impedimento a quel
cammino spirituale-religioso in senso stretto, a quell’itinerario mistico al quale la vita
ultraterrena è finalizzata nella maniera più specifica e propria.
Non tutte le anime si dicono soddisfatte della condizione astrale pur luminosa in cui si
svolge la loro esistenza dominata dalla forma: tante, però, vi si trovano a loro pieno agio.
Entusiasmo autentico è quello che esprimono le parole del defunto pastore serbo, o
macedone, Jansko Pijetor. Egli si trova in una replica astrale della valle in cui è nato e
vissuto. Quando gli faccio sapere che Bettina ed io non siamo disincarnati, bensì ancora vivi
sulla terra, prima appare incredulo, ma poi, persuaso dalla mia insistenza, dice: Non siete qui?
Bene, allora presto venite. “Vuoi farci morire prima del tempo?” Ma la valle è bella,
tranquilla e si sta bene. “Abbiamo un po’ di cose da fare, qui, a meno che la Provvidenza non
disponga altrimenti”. Se devi fare, rimani; ma sbrigati. “E tu quando eri vivo sulla terra avevi
tanta fretta di morire?” No. “Neanche noi abbiamo tanta fretta. E poi, malgrado tutto, l’idea
della morte fa sempre una certa impressione al diretto interessato”. Perché non si sa come stiamo bene.
continua.....