domenica 9 dicembre 2012

La paura della morte

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Perché la gente ha tanta paura della morte? Perché la gente non ne vuole parlare, né sentir parlare?

Persino i miei genitori, i miei professori, i sacerdoti che mi insegnavano le Scritture della mia tradizione non sapevano nulla del fenomeno chiamato morte e si sentivano a disagio quando ne parlavo. Perché?

Seppi poi che non era una reazione tipica occidentale. Ho avuto infatti continue occasioni di vivere in Oriente ed essere in contatto con gli orientali e con le loro tradizioni. La morte è temuta da tutti. La Katha Upanishad, la scrittura del Vedanta completamente dedicata alla morte, inizia infatti con  un’affermazione molto chiara (1,2,7):

«Molti non riescono neppure a udir parlare (del passaggio all’aldilà); molti, pur udendone parlare, non sanno intenderlo; una rarità è un maestro capace che sappia spiegarlo; una rarità chi, istruito da un esperto, giunga a conoscerlo».

Nel Mahabharata al saggio Yudhisthira fu chiesto: «Di tutte le cose della vita, qual è la più stupefacente?» Yudhisthira rispose: «Che un uomo, vedendo gli altri morire intorno a lui, non pensi mai che anch’egli morirà». […]

Il Corano incoraggia la gente a non temere la morte ma ad accettarla con pazienza e certezza perché la morte fa parte del processo della vita, e ad avere sempre in mente l’idea serena che la morte non è la fine della vita. Parlando dei morti dice: «Non credete che i vostri amati abbiano cessato di esistere. I morti, e lo dico in verità, sono più vivi di coloro che vivono» (Corano, 3,169). […]



La paura della morte fa parte del naturale istinto di sopravvivenza dell’uomo, ma da noi in Occidente non vi è solo timore per un processo che non si conosce, una paura dell’ignoto, vi è una vera e propria ossessione. Credo che essa sia dovuta ad un errore fondamentale e cioè al ritenere che la nostra esistenza si svolga nel seguente modo: si pensa che la vita cominci con la nascita, prosegua per un certo numero di anni, contati dal nostro destino, e termini con la morte. La nascita diventa così l’inizio della vita, la morte diventa così la fine della vita.

In questa vita noi ci identifichiamo con ogni cosa che abbiamo, che siamo, che saremo. La morte diventa la fine di tutto, la separazione totale dal nostro corpo, dai nostri averi, dai nostri familiari, dai nostri sentimenti, e da questo nascono per estrapolazione tutti gli altri nostri problemi, le nostre paure, le nostre ansie, le nostre angosce.

La morte è diventata la nostra peggior nemica. È così che la vediamo perché è così che ci viene insegnata.

Esattamente l’opposto di quello che dicono i libri sapienziali di tutte le tradizioni ed i grandi saggi di ogni epoca:

«La morte non è la fine della vita. È invece un aspetto della vita. È qualcosa che accade nel corso della vita. È necessaria per la nostra evoluzione. La morte non è l’opposto della vita. È solo una fase della vita. La vita continua a fluire senza sosta» (Swami Sivananda);

«Perché gli uomini muoiono lamentandosi tanto? Come si insegna ai bambini la matematica, la scrittura e tutto ciò che deve essere imparato bisogna insegnare loro anche la grande dignità della morte… Noi non sappiamo vivere e per questo non sappiamo morire. Finché avremo paura della vita, avremo paura della morte» (Sri Aurobindo);

«La nascita non arresta la morte. La morte non arresta la nascita» (Dogen);

«Colui che sa che l’anima è saggezza, senza vecchiaia, eternamente giovane, non teme la morte, poiché sarà libero dai propri desideri; immortale, perché saprà di essere l’unica cosa esistente, libero da ogni mancanza» (Atharva Veda, 10,8,43-44).


Perché esiste la morte
Nella sezione “Mokshadharma” del Mahabharata, il saggio Yudistira chiede a Bishma cosa sia la morte e perché esista. Bishma racconta che Dio, essendo creatore, assolve questo suo compito senza sosta in questo universo. Ma un tempo, non essendoci la morte, ogni cosa cresceva e si moltiplicava, nasceva, viveva ed invecchiava, ma non moriva. Dio cominciò a preoccuparsi di una situazione che diveniva esasperata. Non potendo distruggere tutti per ristabilire un equilibrio, chiamò Mrityu, l’energia che sostiene la vita, e diede ordine che questa energia svolgesse il suo compito solo per un certo numero di anni, in maniera differenziata per ogni specie e per ogni individuo. Questo fu reso noto in tutto l’universo, così che la morte non fosse considerata solo un evento individuale ma che tutti sapessero che chi viene al mondo attraverso un qualsiasi tipo di nascita, dovrà necessariamente, scaduto il suo tempo, morire.

«Certa è la morte per chi è nato e certa è la nascita per chi è morto. Quando vi è nascita, vi è morte. Quando vi è morte, vi è rinascita» (Bhagavad Gita, 2,27).

«Si nasce e si muore, si rinasce e si muore di nuovo. Si entra nel grembo di una madre numerose volte» (Adi Shankaracharya. Carpatapanjarika Stotram).

«Oggi celebrano il cordoglio; domani sarà il loro turno di essere oggetto di cordoglio» (Proverbio cinese).

Possiamo prepararci a morire?

Come possiamo fare amicizia con la nostra mente, per evitare che ci crei dei problemi in punto di morte?

La Bhagavad Gita (8,5) rassicura tutti dicendo: «Comunque, se al momento della morte esci dal tuo corpo, ricordando me soltanto, allora ti fonderai con me».

Per poter pensare soltanto a Dio al momento della morte, la paura della morte deve aver trovato soluzione da tempo. Ciò non avviene con una conoscenza teorica della morte, ma soltanto con una pratica costante di meditazione che ci permetta non solo di conoscere la via che porta allo stato trascendentale dell’Essere, ma di avere con il nostro Sé assoluta familiarità.

«Ho visto il mio signore con gli occhi del mio cuore e gli ho chiesto: “Chi sei?”. Egli mi ha risposto: “Te”» (Al-Hallaj).

«Espongo me stesso alla morte ogni giorno. […] Bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità, e che questo mortale rivesta immortalità. E quando questo corruttibile sarà vestito di incorruttibilità, e questo mortale di immortalità allora sarà adempiuta la parola che è scritta. “La morte è stata sommersa nella vittoria. Oh morte dove è più la tua vittoria? Oh morte dove è il tuo dardo?”» (Paolo, 1 Corinzi, 15,31 e 53-55).

Solo così le paure, le ansie, le angosce, il dolore del distacco saranno da lungo tempo superate e la via luminosa che porta all’incontro con il Divino trascendente si aprirà di fronte a noi.

L’ultimo pensiero ed emozione
Essi sono di enorme impatto sul nostro immediato futuro dopo la soglia della morte. Questa è la ragione veramente essenziale dell’accompagnamento del morente. Insieme a un’opera umana e a un desiderio meraviglioso di esprimere compassione, l’assistenza al morente dovrebbe servire per indirizzare la sua attenzione sulla vera natura della morte, cioè la realizzazione del Divino. Dovremmo tutti morire con un pensiero soltanto: la certezza e la splendida aspettativa di unirci a Dio.

«L’ultimo pensiero al momento della morte ha un effetto causale di grande importanza sul nostro futuro» (Sogyal Rinpoche, Il libro tibetano del vivere e del morire). […]

«Pensate a Dio al momento della morte e lo realizzerete» (Anandamayi Ma).

«La nuova incarnazione è determinata dai pensieri che il defunto ha al momento della sua morte» (Narada-parivrajaka Up.).

«L’ultimo pensiero di un uomo determina il suo futuro destino. L’uomo desidera sempre morire in pace con la sua mente fissa in Dio. Per questa ragione si cantano al capezzale di un morente la Bhagavad Gita od i Vishnu Sahasranama [i mille nomi di Vishnu], per aiutare il morente a dimenticare i suoi attaccamenti e pensare a Dio. È tuttavia difficile conservare la coscienza di Dio in quei momenti se non si è disciplinata la mente con le pratiche nel periodo della vita. Non viene dalla pratica di un paio di giorni, o di una settimana o di un mese» (Swami Sivananda, Bliss Divine).


Non avere più attaccamenti
S’intende l’attaccamento che proviamo per proprietà, amicizie, moglie, marito, figli, persone care, vita, eccetera. Non avere attaccamenti non significa non amare, ma essere profondamente certi che amore non significa possesso.

Kahlil Gibran ci sollecita a farlo con due risposte; nella spiegazione del matrimonio dice: «Amatevi l’un l’altra ma non fatene una prigione d’amore […] Riempitevi a vicenda le coppe, ma non bevete da una coppa sola. Datevi cibo a vicenda ma non mangiate dello stesso pane. Cantate e danzate insieme e siate giocondi, ma ognuno di voi sia solo, come sole sono le corde del liuto, sebbene vibrino di una musica uguale» e quando parla dei figli dice: «I vostri figli non sono i vostri figli […] essi non vengono da voi ma attraverso di voi e non vi appartengono, benché viviate insieme» (Kahlil Gibran, Il Profeta).

Questo raggiungimento è senz’altro molto difficile. In sanscrito è chiamato vairagya e può essere perseguito solo praticando costantemente la meditazione. La meditazione è la forma più alta di distacco, perché ci allontana dalla consapevolezza di essere il nostro corpo, di essere la nostra mente. Durante la meditazione la nostra vera identità è con il Sé, e da quella prospettiva possiamo vedere il nostro corpo funzionare, la nostra mente pensare, diventando così certi di non essere né le nostre azioni, né i nostri pensieri né i nostri desideri. Essi scorrono come un film sullo schermo della nostra mente mentre il Sé, che siamo noi, osserva, non coinvolto. «Chi non si è staccato dal peccato, o non è tranquillo, equanime e focalizzato, non ha la mente serena e quindi non riesce a raggiungermi con piena conoscenza» (Katha Up. 2,24).


Testamento molto chiaro ed equilibrato
Discutetelo con i vostri figli in vita. Tutto sia accettato da tutti. Una delle ragioni di litigio più ricorrenti tra i vari componenti di una famiglia è il testamento del padre o della madre. Nella nostra tradizione il testamento non solo non viene discusso con gli eredi, ma viene tenuto segreto o depositato addirittura da un notaio. Spesso, in maniera espressa o subdola, è motivo di ricatto morale. L’apertura del testamento è sempre un momento di incertezza, di esaltazione o di delusione. Ancora oggi vi sono famiglie che non hanno più nessun rapporto o addirittura sono ancora in completa rottura per il testamento di un bisnonno. I pronipoti probabilmente non conoscono nemmeno più i motivi per i quali è loro negato di avere rapporti.

I Libri sapienziali e le esperienze di pre-morte (NDE) sono estremamente chiari in proposito. Dicono che, al di là della soglia della morte, per un periodo di tempo più o meno lungo, il morto continua a vivere e a presenziare alle vicende della propria famiglia. Sarà quindi presente certamente all’apertura del testamento, specie se questo, di proposito, favorisce uno o più membri a scapito di altri. Qualsiasi inadempienza al testamento, o qualsiasi rifiuto di accettazione, causerà nel morto uno stato di agitazione e di reazione. Questi stati lo terranno ancor più legato ad un piano di esistenza che egli invece dovrebbe lasciare in tutta serenità.

Atmosfera più serena possibile
S’intende che debba essere senza forti emozioni. Dovremmo cercare di mantenere l’atmosfera intorno al morente assai serena. Egli infatti non va distratto dall’unico pensiero che è a quel punto veramente importante: il pensiero di Dio. Qualsiasi argomento o emozione sarà causa di distrazione dall’unico obiettivo che va perseguito. Bisognerebbe permettere al morente di aprire se stesso all’esperienza della sua natura trascendentale anche se egli non ne avesse mai percepita l’esistenza, e questo potrà essere fatto soltanto da un’assistenza silenziosa, compassionevole ed amorevole. Lo stato mentale al momento della morte è di cruciale importanza:

«In punto di morte di solito gli atteggiamenti con i quali si ha una lunga consuetudine prendono il sopravvento e dirigono la rinascita. Per lo stesso motivo si genera un forte attaccamento verso noi stessi, perché temiamo di entrare in uno stato di non esistenza. Questo attaccamento svolge una importante funzione al momento della morte e negli stadi successivi. Lo stato mentale al momento della morte è quindi decisivo» (Sogyal Rinpoche, Il libro tibetano del vivere e del morire).

«Quando il Profeta, a lui il saluto e la benedizione, uscì con noi dalla moschea, incontrammo un uomo: “O inviato di Dio, a quando l’ora ultima?”. Il santo profeta gli rispose: “Cos’hai preparato in vista di quell’ora?”. L’uomo disse: “O inviato di Dio, in vista di quella, non ho detto molte preghiere, né molte ripetizioni del nome, ma ho amato Dio nel suo inviato”. Maometto sorrise e rispose: “Allora tu sarai con chi hai amato”» (Anas Ibn Malik).

Sistemare i problemi irrisolti
Sarebbe indispensabile nella vita non avere mai contrasti con nessuno, ma ciò è veramente difficile, spesso impossibile, perché i contrasti fanno parte del nostro karma. Il karma è il risultato di azioni compiute nel passato. In ogni caso dovremo cercare di risolvere queste difficoltà di rapporto, sia chiedendo la collaborazione dell’altra persona, sia, se questa non accetta nessuna soluzione, avendo assolutamente chiarito all’interno di noi che ogni onda di reazione ad azioni passate è scomparsa.

A questo proposito vi voglio raccontare una storia che divertiva molto il mio guru. Una moglie si era accorta che il marito la tradiva e aveva reagito, come ben potete immaginare, con molta violenza. Il marito, pentito del tradimento, promise che non avrebbe continuato la relazione adulterina se la moglie lo avesse completamente perdonato e avesse dimenticato l’episodio. La moglie acconsentì, ma, in ogni momento successivo di incomprensione, ricordava al marito la sua debolezza. A un certo punto il marito reagì e disse: «Avevi detto che avresti dimenticato e invece persisti nel ricordare». «No – rispose la moglie, – io ho completamente dimenticato, ma lo ricordo a te, perché sei tu che non devi dimenticarlo!»

Non è ovviamente questo che intendo per risolvere i problemi aperti. Bisogna essere certi che in tutta innocenza i nostri problemi irrisolti abbiano, almeno per noi, trovato definitiva soluzione.


L’autorizzazione a morire
È importante ricevere dai parenti l’autorizzazione a morire e dare a noi stessi la stessa autorizzazione. Bisognerebbe cercare di arrivare al momento della morte avendo chiarito assai bene la sua ragione e i suoi aspetti positivi. Solo se questi saranno chiari saremo in grado di accettare la nostra morte e quella degli altri in qualunque modo e momento essa avvenga. Si attraversano molte fasi nell’agonia, ma l’augurio che facciamo ad ogni essere umano è quello di arrivare a varcare la soglia tra questo e l’altro mondo in assoluta accettazione, pace e armonia. Vi sono due tipi di accettazione: una è passiva, e consiste nel vivere la morte come il peggiore dei mali, ma tuttavia inevitabile; vorremmo cercare in tutti i modi di evitare la morte, perché la riteniamo la nostra peggiore nemica, ma la natura reclama i suoi diritti e a questi dobbiamo piegarci. Moriremo quindi in un’accettazione dolorosa. Il secondo tipo di accettazione è attivo: abbiamo ormai consolidato all’interno di noi le ragioni profonde dell’esistenza della morte, e siamo assolutamente certi che essa sia una benedizione per l’uomo, così come lo è stata la nascita; il cammino evolutivo ha bisogno dell’alternarsi di questi due momenti nel ciclo della vita. Saremo quindi contenti di essere nati, contenti di vivere, contenti di vivere a lungo, contenti di morire.
«Colui che sa che l’anima è saggezza, senza vecchiaia, eternamente giovane, non teme la morte, poiché sarà libero dai propri desideri, immortale, perché saprà di essere l’unica cosa esistente, libero da ogni mancanza» (Atharva Veda, 10,8,43-44).

«Morire non è altro che cambiare vestito» (Anandamayi Ma).

«Sperimentato l’Infinito, siamo liberi dalla morte e la vita diviene un gioco della nostra esistenza terrena» (Vivekananda).

«Dopo aver perduto suo figlio, Rabbi seguiva il feretro danzando. Alcuni Chassidim furono stupiti. Rabbi spiegò: “È un’anima pura che mi è stata affidata. Quest’anima pura oggi rendo al Divino”» (Rabbi Levi Yitzchak).


Tratto da : Cesare Boni “Dove va l'anima dopo la morte”

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domenica 25 novembre 2012

Morti violente:si soffre?


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Un certo numero di messaggi provenienti dal Mondo degli Spiriti suggeriscono che non c'è sofferenza durante un incidente mortale, anche se coloro che pensano a se stessi come fatti del solo corpo fisico, sarebbero in grado di "percepire" il dolore attraverso l'anima, perché non si rendono conto di esser "morti". Il noto autore Victor Hugo rimase convinto dell'esistenza del Mondo Spirituale grazie ad una comunicazione medianica ricevuta il 9 Dicembre 1853 da André Chénier, famoso poeta francese, che era stato giustiziato sulla ghigliottina il 25 luglio 1794. Chénier scrisse il resto della poesia su cui stava lavorando poco prima della sua esecuzione, grazie ai colpi dati sul tavolino del medium, esprimendosi con lo stesso stile di quando era vivo.  Sebbene alcuni critici siano di parere contrario, ritenendo che la
composizione poetica fosse più nello stile di Victor Hugo, si è poi
appurato che egli non era presente a quella seduta particolare, infatti Chénier trasmise successivamente altre nuove poesie nel suo inconfondibile
stile. Chénier raccontò anche i suoi ultimi momenti sulla terra, di quando vide il lugubre canestro posto sotto il suo capo, riempito per metà del sangue di quelli che erano stati decapitati prima di lui per poi, all'improvviso, sentire un terrificante cigolìo sopra il suo collo.
Ebbe la netta sensazione della sua testa che cadeva nel lurido cestello e poi si ritrovò molto al di sopra del suo corpo decapitato, un'anima avvolta in una sorta di guaina diafana. Poi percepì la presenza di sua madre e della sua amante ed osservò una linea
luminosa che separava la testa dal tronco. "La morte mi apparve contemporaneamente sulla terra e nel cielo, mentre il mio corpo, trasfigurato dalla tomba, si immergeva in profondità nelle beatitudini dell'eternità. Vidi, ad una distanza immensa sotto di me, le mie spoglie mortali che il boia stava lanciando ai vermi, la mia testa rotolare nel fango, la mia ferita da cui ancora sgorgava il sangue, la lama della ghigliottina che veniva  lavata, il mio scalpo appeso in cima ad un bastone e sentii il mio nome maledetto dalla folla...."
Dato che Chénier non parla chiaramente del dolore fisico, si potrebbe dedurre che egli non ne provò affatto. Il pionieristico ricercatore  psichico francese Allan Kardec chiese ad uno Spirito se si mantenga la coscienza dopo la decapitazione.  Questa fu la sua risposta:
"Sì,per qualche minuto, fino a quando la vita organica del corpo non si è completamente estinta, ma spesso la paura della morte provoca la perdita della coscienza prima del momento dell' esecuzione."

Sulla base di altre comunicazioni, Kardec ha spiegato che: "in tutti i casi in cui la morte avviene a seguito di violenza, e non deriva da una graduale perdita delle forze vitali, i
legami che uniscono il corpo al perispirito sono più tenaci e la separazione avviene più lentamente."
Kardec e altri affermano che più si è  evoluti spiritualmente, più veloce è la separazione.
Nel comunicare attraverso Nina Merrington, una Medium Sudafricana, Mike
Swain, morto in un incidente d'auto, ha detto a suo padre, l'avvocato Jasper Swain, che aveva lasciato il suo corpo un istante prima che le vetture si fossero effettivamente scontrate.
Heather, sorella minore della sua  fidanzata, era rimasta uccisa con lui nell'incidente.
Come riferito nel suo libro del 1974, On the Death of My Son (In morte di mio Figlio), Mike gli ha fatto sapere di  essere stato accecato dal bagliore del sole riflesso sul parabrezza della macchina proveniente in senso opposto.
"Tutto d'un tratto, la luce è cambiata da argentea a dorata . Sono stato sollevato in aria, attraverso la parte superiore dell'auto, allora afferrai la manina di Heather.
Anche lei  era stata catapultata fuori dalla macchina."

Quando si trovarono a circa 30  metri al di sopra della macchina, furono testimoni della collisione avvenuta sotto di loro e Mike sentì uno schiocco simile alla rottura delle
corde d'acciaio d'un banjo.  Il tutto avvenne senza aver sofferto alcun dolore.
Ci sono un certo numero di altre comunicazioni che suggeriscono che si lascia il corpo fisico prima della morte violenta, che viene quindi vissuta senza provare dolore. Nel suo intrigante libro del 2011, 'The Survival of the Soul' (La sopravvivenza dell'anima), Lisa Williams, una Medium odierna molto conosciuta, cita le parole del suo Spirito-Guida, Ben, sull'argomento.
 Ben le ha detto che quando una persona sta per morire in circostanze violente, il gruppo di Spiriti a cui  appartiene lo sa in anticipo, anche se non conosce il momento esatto, pertanto, devono tenersi pronti a raccogliere l'anima quando salta fuori dal corpo, prima che qualsiasi trauma o shock possa danneggiarne il corpo fisico, motivo per cui molti abitanti dei Livelli Superiori dicono di non aver sentito nulla al momento di un fatale incidente. Ben ha inoltre spiegato che l'anima si distacca in anticipo per proteggersi dal dolore.   La Williams racconta di una seduta in cui una persona di nome Chris è venuta a comunicare con la madre. Chris era morto in un incidente con la moto e disse a sua madre che, dopo che il suo corpo era volato via e si stava dirigendo verso una parete rocciosa, lui si stava istintivamente preparando all'impatto,quando venne "tirato fuori" dal suo corpo.
Ha quindi osservato cosa fosse successo dall'alto.

Nel suo libro del 1973,Peter’s Gate,la medium Jane Sherwood riferisce quanto  comunicato da un uomo deceduto in un incidente motociclistico. L'uomo, che aveva adottato una visione nichilistica della vita le ha detto:"La strada grigia mi è rapidamente venuta incontro ed un colpo dirompente
mi ha messo fuori combattimento. Mi sembrò che un tempo incommensurabile
passasse prima di risvegliarmi, senza che provassi nessun dolore. Poi ho aperto
gli occhi con un moto di sorpresa, perché da qualche parte nella mia mente
c'era la convinzione che non potevo né muovermi né vedere, ma l'incubo era
cessato ed ho aperto gli occhi per non veder alcuna benda . Ho alzato una
mano per toccarmi la testa e mi sentii rassicurato. L'ultima mezz'ora
precedente lo schianto si era trasformata in un passato nebuloso ed ho
visto e contemplato i lontani bordi della strada vorticare nel passato,il
cielo grigio e la siepi primaverili che diventavano sempre più sfocate.
C'era stato un incidente di cui ero stato vittima e quindi avrei dovuto
essere in un letto, da qualche parte, forse in un ospedale. "


A prima vista, il caso di cui sopra sembra entrare in conflitto con le  comunicazioni che suggeriscono che un agnostico potrebbe "sentire" il dolore, ma vorremmo sottolineare il fatto che una visione nichilista non significa necessariamente che quella persona manchi di qualità spirituali.Avrebbe potuto essere una persona moralmente giusta, che semplicemente non credeva nella sopravvivenza.

In un libro del 1922, Our Joe(Il nostro Joe), l' autore Charles S. Mundell racconta delle comunicazioni avuta da suo fratello Joe, ucciso durante un incidente di caccia in California.
Joe raccontò di aver poggiato il suo fucile contro una gamba per arrotolarsi una sigaretta e che, mentre cercava un fiammifero, l'arma gli era caduta a terra sì che partì un colpo. Non ricordava nient'altro, finché non si svegliò in braccio alla nonna defunta. Anche lui non riferì alcun dolore.
Nel suo libro Tell My Mother I’m Not Dead (Dite a mia madre che non sono morto),Trevor Hamilton, racconta delle comunicazioni provenienti da suo figlio, Ralph, ucciso in un incidente d'auto nel 2002. «Nessun dolore. Il corpo sentiva dolore, ma l'avevo lasciato. Lui era stato jammy..! "
Non capendo il significato della parola "jammy", ho chiesto lumi ad Hamilton ed egli mi ha spiegato che in inglese gergale significa "fortunato", una parola che Ralph usava spesso con i suoi compagni. Ma Hamilton riconosce freddamente che non vi è nulla di probatorio in tali informazioni che potrebbero essere solo una forma di autoconsolazione. D'altra parte, Hamilton dà peso alla coerenza di un gran numero di comunicazioni post-mortem, facendo riferimento ai casi citati dal Dr. Robert Crookall nel suo libro,del '61, The Supreme Adventure.(L'avventura suprema).
Oltre alle comunicazioni ricevute dall'Oltre, Crookall cita i casi di persone cadute nelle fauci della morte, ma che sono sopravvissute, come David Livingstone, che venne attaccato da un leone: "Mi scosse come un gatto fa col topo causandomi una sorta di stato sognante in cui non c'era alcun senso di dolore o di terrore, anche se ero consapevole di tutto ciò che mi succedeva.
Il dolore è cominciato solo più tardi. "

Crookall ha teorizzato  che il violento trauma aveva causato una esteriorizzazione dell'anima dal corpo e quindi una perdita di ogni sensazione fisica.  Crookall cita inoltre un caso che suona molto come l'esperienza di Mike Swain  di cui sopra, salvo il fatto che questa persona è sopravvissuta: "Una vettura in cui ero uno dei passeggeri sembrava  sul punto di avere
una collisione frontale ...sentivo di essere staccato dal mio corpo. Ho  avuto la strana impressione che una parte di me fosse a parecchi metri di distanza dalle vetture a guardare, con molta calma e obiettività,  tutto ciò che stava accadendo, compresa la parte corporeo di me stesso, che era
ancora seduta in una delle auto... Non m'importava nulla che il mio corpo stava probabilmente per essere fatto a pezzi; la morte era senza importanza, ed era evidente che si trattava di qualcosa che sarebbe potuta accadere ad una parte del tutto insignificante della mia natura totale "

Un medico che è sopravvissuto a un incidente aereo ha riferito: "Nel momento in cui diventa evidente che un incidente è inevitabile si perde ogni apprensione." 
Il medico ha ricordato una "piacevole consapevolezza"  mentre guardava il suo corpo precipitare a circa 200 metri più in basso.

L'alpinista A.C. Benson ha detto di essere caduto in un crepaccio durante una
scalata sulle Alpi: "Il mio primo sentimento fu di divertimento. Ero appeso sopra un immenso baratro ... Hanno tentato di tirarmi fuori, ma non ci riuscivano. Ero certo della morte.
Rimasi appeso così per venti minuti e per tutto quel tempo non ho provato un solo pensiero di paura, anche se lentamente venivo strangolato dalla corda. "

Benson ha confessato d'aver provato una forte delusione per essere stato salvato.
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domenica 11 novembre 2012

Morte sul Titanic



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William T.Stead,famoso giornalista,racconto'attraverso vari mediums cosa gli successe quella tragica notte.

Giornalista inglese e pacifista, il 62-enne Stead si stava recando a New York City per una conferenza sulla pace mondiale alla Carnegie Hall, dove anche William Howard Taft -il 27º presidente degli Stati Uniti d'America- era fra i relatori.
Diversi sopravvissuti riferirono di averlo visto a bordo durante le 2 ore e 40 minuti che trascorsero dal momento in cui il palazzo galleggiante aveva colpito un iceberg nel suo viaggio inaugurale, ed il tuffo verso i fondali del Nord Atlantico. Tutto sommato era un uomo molto composto e tranquillo, pronto ad incontrare la morte con coraggio e speranza. Frederick Seward, di 34 anni, avvocato di New York, disse che Stead era stato uno dei pochi presenti sul ponte quando l'iceberg aveva colpito la nave.
La signora Wriedt era a New York City nel momento in cui era giunta la notizia del disastro, e secondo il suo ospite, Stead comunicò con lei tre giorni dopo la sua scomparsa.
"Era debole nel parlare, ma abbiamo capito molto di quel che lui ha detto,"disse Moore.
"Il suo messaggio è stato breve, ma la notte successiva, Stead venne di nuovo; articolava bene le parole e la sua personalità era molto più forte, sicchè è andato nei dettagli del suo passaggio.
 La notte seguente, il Venerdì, è tornato di nuovo ed era sempre molto forte e chiaro,fornendoci ancora una volta tutti i dettagli del suo passaggio
. ".
Tornato in Inghilterra, il Generale Sir Alfred Turner, un ex ufficiale dell'esercito britannico, registrò un primo contatto da Stead, una decina di giorni dopo il disastro.
"Avevamo appena iniziato, quando una voce, proveniente a quanto pare da dietro la mia spalla destra, esclamò: 'Sono così felice di essere di nuovo con te!' La voce era inequivocabilmente quella di Stead, che subito (anche se non visibile a nessuno) cominciò a raccontarci gli eventi di quei momenti terribili in cui il grande leviatano andava incontro al suo destino, e lentamente affondava nella sua tomba a due miglia sotto la superficie del mare ... Ci fu, come lui stesso disse, una breve lotta per respirare, e subito dopo riprese coscienza in un altro stato di esistenza. Era circondato da centinaia di esseri, che, come lui, avevano superato il confine, ma che erano storditi per essere totalmente ignoranti della fase successiva della vita terrena. Brancolando nel buio, invocavano la luce, del tutto ignari di non essere più nella carne. Egli si mise subito a fare da missionario per illuminare quelle povere creature impreparate ed in tale lavoro era ancora impegnato con l'assistenza di numerosi abitanti del Mondo Spirituale (Guide), il cui compito sacrosanto è di aiutare e illuminare coloro che passano".
Stead successivamente comunicò con la figlia attraverso un altro Medium, sottolineando che passare nel mondo degli spiriti non significa essere immediatamente parte della "divinità",
né lo "spirito" ottiene una conoscenza completa di tutto.
"Non posso dirti quando tuo nipote ti chiederà un altro paio di scarpe, nè posso dirti quale sarà la soluzione della questione irlandese. Posso solo vedere un pò più in là di te e non possiedo la chiave della porta di tutte le conoscenze e di tutte la verità. Abbiamo tanto da lavorare qui e come si passa attraverso una porta ne troviamo un'altra chiusa davanti a noi... ed un' altra, ed un' altra ancora."
Aggiunse che col progredire e, man mano che le abitudini e le inclinazioni terrene vengono messe da parte, altri interessi prendono il loro posto, finchè arriva il desiderio della vera conoscenza.
"La vita qui è una cosa grandiosa, molto più libera, ben più felice per tutti coloro che hanno condotto una vita terrena ragionevole, ma per chi non lo avesse fatto, ci sono molti problemi e difficoltà e dolori a cui andare incontro. E' una grande verità dire che 'come avete seminato, così raccoglierete".

domenica 28 ottobre 2012

Gli strumenti della trasformazione: lo Studio


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Studio, meditazione e Servizio ci vengono indicati dalle Scuole spirituali come i mezzi più idonei a portare a compimento il lavoro di purificazione della personalità. Tale raffinamento progressivo, insieme al conseguimento dei  requisiti etici e alla tensione per il perfezionamento delle “virtù” (da vir, uomo: “le qualità del veroUomo”), permetterà al sé inferiore di allinearsi all’anima, la quale, così purificata, potrà diventare sempre più responsiva alla voce del Sé superiore.
Uno degli “indicatori” più significativi del livello evolutivo degli individui è la tensione alla comprensione del senso della realtà; uno slancio imponente e sincero ha incitato l’umanità in questa direzione lungo tutto il corso della storia, motivando allo studio  appassionato intorno alle radici dell’essere, e alla conseguente ricerca di tipo religioso, filosofico o scientifico.
Tale sforzo porta, alla lunga, al risveglio dell’Amore:

Una vita d’uomo non si giustifica se non con lo sforzo, anche sfortunato, tendente a capire meglio. E capire meglio è aderire meglio. Più capisco, più amo, perché tutto ciò che è capito è bene.(L. Pawels, J. Berger, Il mattino dei maghi)

Studio e Sapere diventano col tempo Saggezza che porta oltre l’intelletto, nello spazio aperto dell’Intuizione; quando l’Intuizione è stata sviluppata attraverso la concentrazione, e la coscienza è stata elevata attraverso lo studio e la meditazione, sarà possibile il fiorire di un’umanità di esseri nuovi, consapevoli, creativi e fraterni.
Il Sapere interiorizzato attraverso lo studio diventa Potere, che rende possibile l’aprirsi a grandi visioni per la concretizzazione degli ideali intravisti. 
Molti, che si attardano nell’ “Aula dell’ignoranza”, non hanno ancora sviluppato l’aspirazione a capire e non intendono ancora introdursi nella “via stretta” dello studio, della meditazione e del Servizio.
Sono gli “ignavi” della Commedia, per i quali sembra non esserci pietà neanche dalle sfere superiori:

e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.

(Dante Alighieri,
Commedia,canto III)

 

Nella Nuova Era che ci apprestiamo a vivere, tuttavia, sempre più individui cominciano ad evolvere in consapevolezza e a funzionare sui livelli superiori del mentale, ove sono possibili:

    • l’astrazione e l’universalizzazione dei concetti;

    • il concepimento di alti ideali di Unità e di Sintesi;

    • fermi atti di volizione;

    • Propositi elevati e coerenti;

    • la costruzione di complesse forme-pensiero che potranno favorire l’evoluzione dell’umanità.

 

L’uomo che ha scoperto il Sentiero ed ha strutturato il Proposito di percorrerlo, vaga spesso a lungo tra vari insegnamenti, studiando e comparando idee, scuole, dottrine e tecniche, finché, interiorizzando i contenuti, non riesce a intravedere la Meta, a elaborare la sua personale via per raggiungerla, e a trasmutare in opere concrete quanto ha concepito all’interno:

Come un’ape cerca il nettare da tutti i tipi di fiore, si cerchino gli insegnamenti dovunque; come un cervo che va a trovare un posto tranquillo per pascolare, si cerchi la solitudine, per digerire tutto quello che si è raccolto.
Come un pazzo, al di là di ogni limite, si vada ovunque piaccia, vivendo come il leone, libero da tutte le paure.
 (tantradello Dzong-chen)

Studio, meditazione e Servizio sono collegati; lo studio mirato solo alla conoscenza diventa arido se non accompagnato  dal Servizio e le informazioni acquisite diventano sterili se non donate all’umanità, applicate al reale e concretizzate in operatività amorevole.
Le “anime pronte”, che si sono aperte alla Fratellanza,  perseguono infatti, più che “l’amore per la Sapienza”, la “
Sapienza dell’Amore”.

 

 

 

 


venerdì 19 ottobre 2012

Riassumendo

«L'ambiente in cui l'individuo compie la propria evoluzione è costituito dal piano fisico, dal piano astrale, dal piano mentale, dal piano akasico e dai piani spirituali.
Tutti i piani di esistenza sono intorno a noi: entro la materia stessa è il mondo degli spiriti. Ma l'uomo, quando è incarnato, non riesce percepire più di quanto rientra nel ristretto campo dei suoi sensi fisici.
Per ogni campo di esistenza l'individuo ha dei veicoli, dei corpi: il corpo fisico gli permette di vivere sul piano fisico; il corpo astrale presiede alla sua vita di emozioni, sensazioni, desideri; il corpo mentale dà all'uomo tutte le facoltà che sono proprie della mente, l'intelletto e i pensieri; il corpo akasico, o coscienza, riceve e trascrive, facendola diventare natura medesima dell'individuo, la realtà che l'uomo, esistendo, scopre e acquisisce.

Quando l'uomo ha cessato di vivere, abbandona il corpo fisico, ma sosta vicino a esso per qualche tempo ed è spesso grandemente disturbato dalle scene di pianto degli astanti.
Ha quindi una sommaria visione della sua vita trascorsa ed è spesso aiutato, in questo suo primo contatto con il piano spirituale di esistenza, dalle persone care trapassate prima di lui.
Il mondo astrale è molto simile a quello fisico: un mondo vastissimo e meraviglioso, popolato di tantissimi individui.
La sosta più o meno lunga nel mondo astrale, dipende dal grado di evoluzione che l'individuo ha raggiunto: l'anima evoluta vi si trattiene solo brevemente, le altre anime o rivivono dolorosamente le colpe commesse e in questo modo se ne purificano, oppure si creano un mondo fittizio che consante loro di cullare desideri insoddisfatti: finché, stanca e saziata dai propri sogni, l'anima si trova sulle soglie del piano successivo, il piano mentale, di cui prima di allora non aveva neppure immaginato l'esistenza.

Nel piano mentale ogni creatura è immersa in una continua meditazione, e completa le nozioni che ebbe nell'ultima incarnazione: gli scienziati continuano a studiare quei problemi ai quali non seppero trovare risposte, in modo che nella nuova incarnazione ne avranno poi insite le soluzioni.
Una volta elaborato tutto il materiale accumulato nell'ultima incarnazione, l'individuo lascia il corpo mentale e le facoltà raggiunte passano nel corpo akasico, cioè alla coscienza dell'individuo.
Il piano akasico conserva impresse in sé tutte le esperienze avute nelle varie incarnazioni e si costituisce man mano che l'individuo si evolve.
Se l'individuo non è molto evoluto, il suo corpo akasico non è sufficientemente costituito e quindi permane in questo piano, rivedendo con tranquillità tutte le passate esistenze, finché non è pronto per una nuova incarnazione che amplierà ancora la sua coscienza. se invece in corpo akashico è sufficientemente costituito, l'individuo gode di una lucida esistenza riversa sugli altri piani un amore sconfinato e una comprensione senza limiti.

Questo è quindi il piano della fratellanza universale e dell'amore, il piano dove tutti vivremo coscientemente, comprendendo che tutte le amarezze che oggi ci turbano sono esperienze necessarie alla nostra evoluzione, alla nostra nascita spirituale.
Quando l'individuo sente di essere un tutto con il resto del creato, abbandona anche il piano akasico, si avvicina sempre più al fulcro del suo essere, alla scintilla divina, ed è pronto per raggiungere i piani spirituali, alla conquista della coscienza cosmica ed assoluta.


mercoledì 17 ottobre 2012

Integrare la vostra essenza spirituale



Lo stadio attuale della coscienza umana non è certamente, quello finale: altri più elevati raggiungimenti evolutivi attendono l’uomo che proseguirà il suo perfezionamento, e di sicuro non solo in forme fisiche.


Man mano che diventeremo (in tanti!) “puri e potenti”, le nostre vibrazioni potranno con sempre maggior forza influenzare “il campo energetico” in cui si svolge la nostra vita; comprenderemo sempre più chiaramente che di esso  siamo cocreatori attraverso l’attività del nostro mondo mentale, i cui prodotti, prima o poi, si riverberano sul piano fisico:

 

Chi si lascia andare ad una vita caotica e nutre pensieri e sentimenti grossolani, sta svilendo tutto il proprio essere, e ben presto la sua espressione, il suo sguardo, la sua voce e i suoi gesti finiranno per risentire di quello svilimento. Ma se si sforza di accordarsi con il mondo divino e di rispettarne le leggi, a poco a poco qualcosa in lui si aggiusterà, si schiarirà, si purificherà…e in lui inizia a prodursi una vera metamorfosi. (O. M. Aïvanhov, Pensieri quotidiani)

 

Al contrario, risentiamo del “campo”, subendone passivamente le influenze, quanto più siamo dipendenti da sistemi ideologici, conformismi, settarismi di vario genere.
“L’uomo non è che desiderio; come desidera, così egli diventa”. Questo è quanto affermano le Upanishad, quanto sostiene la Saggezza antica ed anche nuovi orientamenti della psicologia
L’uomo che vive nell’ombra della materia non vede al di là del suo sé separato:

 

Ogni individuo intuisce giustamente di condividere la stessa natura dell'Atman, ma distorce tale intuizione applicandola al suo sé separato; ritiene che il suo sé sia immortale, onni-comprensivo, centrale nel cosmo, estremamente importante. Cioè, sostituisce l'Atman con l'ego. Poi, anziché trovare la totalità effettiva e senza tempo, si limita a sostituirla con il desiderio di vivere eternamente; anziché fondersi con l'universo, desidera possederlo; anziché fondersi con Dio, si sforza di fare la parte di Dio. (Ken Wilber,  il progetto atman)

 

Sul Sentiero comprendiamo lentamente che noi siamo la causa, remota o recente, del tenore generale delle nostre vite, della nostra appartenenza sociale, della nostra parentela, delle nostre relazioni.
Noi siamo lì dove ci siamo collocati; non siamo in un certo modo e in un certo luogo casualmente bensì causalmente.
Il nostro futuro si sta strutturando su di un piano sottile. Non si è ancora cristallizzato, manifestato sul nostro piano di esistenza fisico, ed è per questo che qui, nel nostro attuale presente, siamo in grado di modificare le dinamiche che lo stanno forgiando, attraverso l’orientamento dell’energia del pensiero.
Le trasformazioni sempre più accelerate, e a tutti i livelli, che vive il nostro Pianeta, le riscoperte consapevolezze sulla natura dell’uomo e sulla sua unità con l’Universo e la ricerca di senso, sempre più dolorosa e struggente, perseguita soprattutto dalle nuove generazioni, indicano chiaramente ad ogni Pensatore che l’Uomo è a una svolta:

 

È questo il tempo di integrare la vostra essenza spirituale e diventare consapevoli su come utilizzare la vostra mente. Vi trovate in mezzo a una tumultuosa trasformazione, un’iniziazione che passa attraverso l’oscura notte dell’anima, e dovete essere pronti e disposti a identificare i problemi che si presentano nella vita personale e collettiva e a scoprirne la soluzione. Si sta avvicinando una sorprendente rivoluzione spirituale mondiale e, nel diventarne consapevoli, è essenziale ricordare che le opportunità di crescita sono sempre abbondantemente disponibili; basta imparare a crearle. (B. Marciniak, La via del risveglio planetario)

 

In  questi tempi, l’individuo sulla Via del risveglio può scegliere di:

  • rinnegare il proprio compito di mediatore tra il regno  animale istintivo e quello spirituale; di agente di trasformazione di se stesso e della realtà; di essere di transizione  tra il mondo materiale e quello superiore.
    Si  dissolverebbe così la preziosa eredità di millenni di ricerca e  l’umanità  si appiattirebbe  in una assuefazione al consumismo, alla delega, alla passività acritica;

  • aderire alla Nuova Visione del mondo, avvertita da un numero sempre crescente di individui e di gruppi umani, basata sulla presa di coscienza dell’Unità della Vita; della necessità di cooperare e condividere; della Fratellanza universale.

Spesso è il dolore a “fare da levatrice” all’anima nascente:

 

La disperazione è spesso il primo passo sul sentiero della vita spirituale e molte persone non si risvegliano alla realtà divina e all’esperienza della trasformazione delle loro vite fino a che non passano attraverso l’esperienza della disillusione e della disperazione. (B. Griffiths, Il fiume della pietà)

 

Tale dolore, “maieutico” di nuove opportunità, va accettato e compreso nella sua più profonda funzione di mediatore di più ampie consapevolezze. Si potrà così osservare “con occhi nuovi” e con “cuore nuovo” il mondo e i fratelli, non più con l’intento di “prendere” ma di “dare” al massimo grado consentito dal nostro livello evolutivo.
La nostra mente si apre alla visione del Pianeta come Essere evolvente, di cui siamo cellule co-creatrici, e al nostro Compito, fondato sulla più alta e veritiera Speranza.

domenica 7 ottobre 2012

il vivere di ogni giorno


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Voi siete nella vostra vita,nel vivere di ogni giorno
che presenta nuovi problemi e nuove angosce,
problemi e angosce che voi affrontate sempre
trepidanti e pieni di paura.
Come vorrei che passaste attraverso queste esperienze
serenamente,non distaccati,partecipandovi, ma trovando
in voi la forza di andare avanti, di capire che quello che
state vivendo e' per il vostro bene,per il vostro progresso
spirituale,e per l'ampliamento della vostra coscienza.
Come vorrei che trovaste questa fiducia,questa certezza,
perche' cosi' facendo voi meglio vivreste e vi risparmiereste
tanti dolori.
Possa essere questo il significato che dal nostro incontro
scaturisce.

Teresa     Cerchio Firenze 77

mercoledì 3 ottobre 2012

Siate nel mondo ma non siate del mondo


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L'evoluzione passa necessariamente attraverso tre punti fondamentali, che si succedono avendo come Fine ultimo la perfezione dell’umanità:

    1. Punti di Crisi;

    2. Punti di Tensione;

    3. Punti di Rinnovamento.

Allo stato attuale, l’umanità sembra trovarsi, come il guerriero Arjuna nella Bhagavad-Gita, nel mezzo del conflitto, tra le porte delle tenebre e le Forze della Luce, tra il materialismo e la spiritualità, tra la morte per ostinata ignoranza e la Vita liberamente scelta, che può sprigionarsi solo attraverso la vigilanza su pensieri, parole e azioni:

 

I tempi in cui vivete sono caratterizzati da immensi cambiamenti, e per gestire questo eccezionale processo di trasformazione del genere umano sono necessari una grande flessibilità e un chiaro intento. Sviluppare la capacità di essere consapevoli di ciò che si pensa mentalmente, si sente emotivamente e si dice verbalmente, e strutturare la propria vita con chiarezza cristallina attraverso pensieri, parole e azioni, è essenziale per vivere una vita al pieno delle sue potenzialità.
Uno dei primi passi verso l’esperienza “religiosa” e verso la “spiritualità” è il senso della sacralità dell’esistenza e della solennità delle tappe della vita di ogni singola e del Pianeta nel suo complesso, quando contemplate con animo sensibile e partecipe. Nasce da questo stato di “maestoso stupore” e di “innocente empatia” la Volontà di servire il Tutto, in qualsiasi modo ciò possa essere inteso.
Sul Sentiero siamo chiamati a scelte decisive e improrogabili.
Ce le richiedono:

    • i mutamenti sempre più accelerati che attraversa il Pianeta in ogni campo: geofisico, sociale, economico, culturale;

    • il dolore dei fratelli sofferenti per le crudeli sperequazioni economiche e per l’indifferenza imperante;

    • l’agonia del Pianeta vivente che ci ospita, e di cui siamo cellule,  trasformato in luogo di dis-amore distruttivo a causa di irresponsabili ambizioni di potere e mortali giochi consumistici;

    • il richiamo incessante della nostra anima, che ci sospinge alla scoperta del nostro vero Im-pegno (dare se stessi in pegno);

    •  la nostra stessa natura, ancora oscuramente percepita, di Esseri destinati alla Perfezione e alla Luce.

Il nostro Compito, posto tra Cielo e Terra, è quello di “diventare ponti”, sviluppando il rapporto armonioso e l’unità d’azione tra gli esseri umani, pur nelle diversità dei  temperamenti e dei mezzi usati; di manifestare dedizione e ordine, contrastando, con il metodo del “non dare energia”, le opposte caratteristiche manifestate nel mondo nel quale è nostro dharma vivere.
Nessun approccio “spirituale” all’esistenza può prescindere dal fatto che la dimensione animica si realizza nella vita di ogni giorno, che è per tutti, consapevoli e inconsapevoli, strumento di insegnamento e campo di servizio. Chi aspira a vivere una vita “spirituale” dovrà esaminare obiettivamente le proprie più profonde motivazioni.  Scopriremo che quelle poco limpide cercheranno spesso di dissimularsi, poiché, essendo annidate nell’ombra dell’ego, sfuggono alla luce: fuga dal mondo, desiderio di deresponsabilizzazione, aspirazione a “sentirsi speciale”, illusione di una vita “più facile”…
E’ la “
stabilità”, come afferma il Maestro Aïvanhov, che dà la misura dell’avanzamento dell’aspirante:

 

Essere stabili significa essere fedeli ai propri impegni e proseguire lungo il cammino malgrado tutto; e questo è difficile, più difficile che essere gentili, servizievoli, amorevoli, generosi, coraggiosi. Quando siete ben disposti, vi ripromettete di avanzare sempre sul cammino della luce, anche se è difficile.

Ma qualche giorno dopo, vi trovate in un altro stato d’animo e non vi ricordate più di aver preso quelle decisioni. Dove credete di andare così? Per avere accesso ai Misteri, bisogna poter dire come l’Iniziato dell’antico Egitto: «Io sono stabile, figlio di stabile, concepito e generato nel territorio della Stabilità”.(Omraam Mikhaël Aïvanhov, Pensieri quotidiani)

 
Se la ricerca non è ancora autentica, solo una parte superficiale della vita è consacrata allo “spirituale”; si cerca talvolta conformità o sicurezza e si è interessati per lo più ad attività, riti e cerimonie esteriori, che rasserenano la mente, placano agitazioni e rimandano l’impressione di “stare meglio con se stessi”.
Una motivazione più alta è riconoscibile:

    • dallo strenuo sforzo per il miglioramento di sé;

    • dalla ricerca del nucleo essenziale “di senso” della nostra esperienza terrena;

    • dalla chiara visione che ciò che ci ostacola è l’ego, di cui la paura e l’avidità sono le più frequenti manifestazioni;

    • dal conseguimento di duraturi conseguimenti interiori che ripudino la tendenza a esigere, forzare, trattenere e prendere per sé;

    • soprattutto, dall’aspirazione al Servizio disinteressato.

Chi “vive nel mondo ma non è del mondo” non disperde le sue energie in rimpianti e attese, vanità e fatui sogni, distrazioni e disattenzioni, fatti inessenziali e abitudini logore, sterili dialettiche e inutili convenzioni; egli considera il mondo una costante “rappresentazione sacra” in cui il quotidiano acquista senso estendendosi all’eterno.
Sa che dal nostro stato di coscienza dipende la ricezione della realtà e la nostra possibilità di farne il nostro “campo di esercitazione” per promuovere l’evoluzione della nostra anima e dell’umanità.
Sa che “
la saggezza del mondo è follia davanti a Dio”, poiché una più avanzata evoluzione dà un più alto potere di discriminazione e, di conseguenza, un senso diverso delle priorità rispetto alle convenienze sociali:

Ma che cos’è la società? Una vasta scena di teatro dove si recitano commedie d’ogni genere, e quelle commedie non devono mai farvi dimenticare che l’essenziale è ciò che voi siete interiormente, non lo spettacolo che date su quella scena.

Conservate soltanto la fede nella potenza del vostro spirito e nell’immensità della vostra anima!(O.M.Aïvanhov, Pensieri quotidiani)

 

Svanisce così la distinzione tra sacro e profano, tra pratica religiosa e attività lavorativa, tra spirito e materia:

 

Ogni attività è semplicemente una delle molteplici forme o manifestazioni dello spirito. Al centro vi è lo spirito, e tutto deve trovare il proprio posto in rapporto a quel centro, affinché la vita dell’uomo sia un’unità: è così che ciascuna delle sue attività contribuisce al suo perfezionamento, al suo pieno sviluppo.

La vera spiritualità consiste nel riuscire, qualunque cosa si faccia, a mantenere lo sguardo fisso allo spirito. Così come il cervello dirige tutte le nostre funzioni fisiche, allo stesso modo lo spirito deve dirigere tutte le nostre attività. (O. M. Aïvanhov, Pensieri quotidiani)

 

Ogni luogo e ogni momento hanno un nucleo spirituale che va riconosciuto: “ogni zolla della terra è sacra al nostro popolo” afferma il Capo indiano Seattle; e Francesco, creatura tra le creature, considera “frate” e “sora” ogni elemento della Manifestazione.


lunedì 24 settembre 2012

La Vita Una


L’Universo intero ci rimanda l’evidenza della Legge di evoluzione, che conduce ogni forma ad uno stato sempre più avanzato; il termine indica uno sviluppo dall’interno all’esterno, che prende l’avvio da un centro interiore il quale custodisce e tiene in memoria lo schema della forma iniziale e delle potenzialità future.
Si può definire l’evoluzione come lo sviluppo progressivo della capacità di rispondere; e il processo evolutivo come  la capacità sempre più adeguata di registrare e risuonare alle vibrazioni, prima del proprio piano, poi di quelli più elevati.
Una Vita centrale unificata comprende e sintetizza tutte le unità in evoluzione, sia della materia (atomi chimici e fisici) sia della  coscienza (esseri umani).
E’ questa anche la visione di Giordano Bruno, il quale proclama che:


  • esiste un infinito universo, fatto di infiniti mondi, eternamente evolventi;

  • nell’universo opera una provvidenza universale, che armonizza ogni cosa, tutto indirizzando alla divina Sorgente, Monade delle monadi;

  • scopo dell’uomo è quello di tentare di armonizzarsi con il tutto, in una “ascesa furente”:

Nell’universo esiste una profonda unità, è impensabile che ogni parte non corrisponda al tutto in una suprema armonia. La natura è viva e vivificata dal soffio divino. Tutte le cose sono nell’universo e l’universo è in tutte le cose; noi in quello, quello in noi; e così tutto concorre in una perfetta unità…perché questa unità è sola e stabile, e sempre rimane; questo Uno è eterno; ogni volto, ogni faccia, ogni altra cosa è vanità, è come nulla…
(G. Bruno, Gli eroici furori)

 

L’intera Manifestazione non è che l’insieme dei diversi stati di coscienza, dovuti a diversi stati evolutivi, dalla materia più grossolana all’uomo più avanzato; attraverso le forme esteriori la Vita entro di essa, o Intelligenza (da inter legere, scegliere discernere), si adegua al Proposito, che tende, sempre più evidentemente, alla perfezione.
L’evoluzione può anche essere definita “sviluppo ciclico”; la natura, infatti, ripete i suoi cicli finché la sostanza non abbia portato a termine determinati processi, adeguandosi in modo sempre più idoneo alla vibrazione più elevata. Ciò avviene mediante lo sviluppo del discernimento che nell’atomo si manifesterà come adattamento, nel sistema solare come attrazione-repulsione, nell’uomo come libero arbitrio.
Si afferma ne “La coscienza dell’atomo” di Alice A. Bailey, teosofa, allieva del Maestro Djwhal Khul, conosciuto come “il Tibetano”, che gli stadi che caratterizzano il processo evolutivo sono tre e corrispondono alle età dell’uomo: infanzia, adolescenza e maturità; questi stessi passaggi  possono ritrovarsi nello sviluppo delle civiltà:

  1. stadio dell’energia atomica;

  2. stadio della coscienza di gruppo;

  3. stadio della sintesi.

Lo stadio dell’energia atomica è primitivo e separativo.
Nei primi stadi dell’evoluzione l’uomo si crede  un individuo separato, vivendo egoisticamente prima per sé, poi per il gruppo familiare più intimo e sperimentando così la propria energia atomico-individualistica interna; questa stessa fase viene attraversata nell’infanzia dell’umanità e nell’infanzia di ogni essere umano.

Lo stadio della coscienza di gruppo riguarda la costruzione di forme coerenti maggiori, composte di forme minori.
L’uomo sposta l’attenzione dalla propria piccola vita al centro maggiore; da atomo diventa elettrone di una Vita più grande che lo tiene nella suo sfera di irradiazione e di cui comincia a intravedere il Piano ed il Proposito, così da poter collaborare, nei limiti che il suo sviluppo evolutivo consente.
In questo stadio - che  può essere paragonato a quello della radioattività - cominciano a manifestarsi le qualità dell’amore e della responsabilità:

 

…nel caso dell’essere umano (questo stadio) corrisponde al risveglio del senso della responsabilità e al riconoscimento del suo posto nel gruppo. Questo richiede la capacità di riconoscere una vita più grande di lui stesso, sia essa chiamata Dio o semplicemente ritenuta come la vita del gruppo al quale un uomo appartiene come unità, quella della grande Identità della quale ognuno di noi è parte. (Alice A. Bailey, La coscienza dell’atomo)

 

Lo stadio dell’esistenza unificata e sintetica corrisponde allo stato dell’essere umano adulto, che ha un piano ben definito; esso è ancora  lontano dall’attuale umanità.
In tale fase, l’individuo sa di essere parte di un’Entità sintetica che comprende tutte le unità di vita; ad Essa egli e il suo gruppo sentono di dover rispondere responsabilmente:

 

Non ci saranno soltanto le unità di coscienza separate e gli atomi differenziati nella forma; non ci sarà soltanto il gruppo formato da molteplici identità, ma avremo l’aggregato di tutte le forme, di tutti i gruppi, di tutti gli stati di coscienza fusi, unificati e sintetizzati in un tutto perfetto. Questo tutto potete chiamarlo sistema solare, natura o Dio, non ha importanza. (Alice A. Bailey, La coscienza dell’atomo)

 

Il sistema solare, i gruppi umani e l’atomo attraversano gli stessi stadi. Ad ogni livello, alla separazione seguirà l’unione e la formazione di gruppi; dalla sintesi delle unità emergerà infine un’unità cosciente e organizzata, formata da tutte le entità, animate da un solo proposito.
L’evoluzione opera pertanto secondo un proposito ordinato nella realtà in cui viviamo e in cui noi uomini siamo chiamati a dare il nostro contributo di esseri pensanti situati  tra il quarto regno, quello umano, e il quinto regno, quello spirituale, cui sempre  più evidentemente aspira l’umanità  avanzata.
Le “anime pronte” lavoreranno soprattutto sulla Sintesi, che, a tutti i livelli,  “mantiene ogni cosa nella sfera dell’amore divino”; essa non è coazione all’unità, in cui ogni cosa diviene uguale a un’altra, ma è un processo per cui i molti confluiscono coerentemente e consapevolmente nell’uno. Il risultato della Sintesi è una nuova entità, diversa dalla somma delle parti, poiché, come accade nei sistemi organici viventi, ogni elemento, pur conservando il senso della propria individuale diversità, si fonde nell’insieme, consapevole di essere parte di un Tutto più vasto.
Afferma Ildegarda di Bingen: “C’è un tessuto di equità che collega l’umanità a tutte le creature”.

 Pertanto, la Sintesi vivente, nel suo significato più interiore, è:

  • lettura intuitiva di fatti ed eventi;

  • sostegno alla tensione del Pianeta all’unità;

  • visione della totalità all’interno delle individualità;

  • riconoscimento del divino in ciascuno, al di là delle “differenze”;

  • aspirazione alla Co-operazione e alla con-divisione;

  • scoperta immediata e intuitiva dell’Essenziale;

  • tensione dinamica all’universalità e all’interezza;

  • riconoscimento dell’interdipendenza di tutte le sostanze;

  • visione del Bello e del Vero al di là degli annebbiamenti della mente;

  • spiritualizzazione del reale in vista del suo più alto significato e Fine.