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LA LUCE OLTRE LA SIEPE
di Nicola Michele Campanozzi
È di alcuni decenni fa il romanzo Il buio oltre la siepe, che negli Stati Uniti, ma
anche in Italia, ebbe molta fortuna. Parafrasandolo in positivo ho tratto da esso il titolo
per riscrivere di un argomento, in verità sollecitatomi da molti in questi ultimi tempi. Ci
ritorno volentieri, perché oltretutto mi sta a cuore, se è giusto quello che dice Alberto
Savinio: “Quando si dice di pensare, si intende pensare alla morte. E a che altro
pensare?” In altre parole si è di fronte alla grande incognita.
Si sa che la nostra attuale cultura per buona parte ha perduto di vista tanti valori e di
conseguenza elude anche molte domande, un po’ per falsa sufficienza, un po’ per
scetticismo, ma, più di ogni altro, per esorcizzare una paura che poi tale non dovrebbe
essere se si sanno dare delle risposte adeguate alle quali dovrebbero seguire
comportamenti altrettanto coerenti.
Ci si nasconde, senza badare a molte raffinatezze, dietro alla corsa al successo e al
potere, definiti giustamente nella canzone dei Dik Dik “trappole mortali”, e poi si
rimuovono gli interrogativi fondamentali ed essenziali del nostro vivere: con questa
operazione tutto si spiega, anche il cinismo e l’assoluta mancanza di rispetto non solo
per le cose e l’ambiente ma per la stessa vita.
Dico subito che io credo profondamente nell’Aldilà. Questa fede mi fa amare e
rispettare di più l’Aldiquà e ciò che in esso di umanamente e culturalmente valido è
stato prodotto o si produce. Tale convinzione non nasce tanto da una riflessione di
ordine religioso quanto da una serie di considerazioni che sottopongo alla benevola
attenzione del lettore.
Pere capire qualcosa del vivere e del suo scopo occorrono due atteggiamenti della
mente: imparare a saper riconoscere i segni e poi saperli collegare in connessioni che
abbiano il sapore di un discorso coeso. I vuoti che si creano e ci sono tra un elemento e
un altro vengono colmati dall’intuizione, che poi non è altro che una forma di
razionalità di natura superiore: non si dimentichi che le grandi scoperte e invenzioni
procedono tutte e sempre in questo modo.
Di segni dell’Aldilà nella vita, per noi che conosciamo solo attraverso i sensi (e
questi sono estremamente limitati e limitanti), ce ne sono molti. Ne elenco alcuni:
l’angoscioso linguaggio della morte, la presenza luminosa del bene, l’assurdità del
male e delle sue scelte, eventi inspiegabili, coincidenze misteriose e non casuali,
l’enigma dell’universo, il miracolo della vita, una serie ormai infinita di esperienze e
fenomeni paranormali non riconducibili a fatti allucinatori, il rifiuto viscerale della fine,
sogni premonitori che si realizzano puntualmente, incontri inaspettati e imprevisti...
Tutti questi segni, se considerati in sé, forse dicono poco o tutt’al più sono dei
frammenti sparsi qua e là. Ci vuole un buon restauratore (cioè la nostra mente sgombra
da pregiudizi) che sappia saggiamente contestualizzare questi segmenti o tasselli in
modo da ripristinare l’intero mosaico nella sua logica nascosta.
Il caos, il nulla, l’apparente svuotamento della razionalità sono solo illusioni:
fermarsi ad esse e affermare che sono la verità mi sembra un atto o di rinuncia o di
presunzione. Il pensiero coraggioso va oltre, si chiede ragioni, cerca i nessi. E questi, se
si è aperti, all’improvviso vengono fuori in tutta la loro luminosa significatività.
Niente c’è di fortuito (gli scienziati questo lo sanno bene: ”Dio non gioca a dadi con
il mondo” ripeteva Einstein) come, peraltro, tutto sembra obbedire a una sorta di
organizzazione finalizzata alla conservazione dell’essere, anche se questa passa
attraverso il provvisorio buco nero di una quasi programmata disintegrazione
dell’esistente visibile.
Il filo del discorso si riannoda non nel creare ma nel saper leggere i legami fra i
segni: si scopre così che il deserto è puramente fittizio, anzi è necessario perché un’oasi
possa richiamarne un’altra, come pure è un indice di libertà imparare a scegliere una
lettura o fermarsi al semplice isolato dettaglio. D’altronde cosa insegnano la teoria degli
insiemi, dei gruppi, della Gestalt e dell’analisi testuale, se non quello che si è fatto
osservare sopra?
La realtà è che noi siamo energie pensanti destinate a sopravvivere oltre il visibile,
oltre cioè la gamma ristretta della misura bidimensionale spazio-tempo: questo è
richiesto dalla domanda d’infinito e d’eterno scritta nel patrimonio psicogenetico di
ognuno. Se quest’ultima esiste, è legittimo attendersi la possibilità d’una risposta di
uguale natura, altrimenti la domanda non si porrebbe in tutto il suo peso. Questa,
inoltre, è l’informazione della quale si è depositari e detentori.
Come sarà il post-Aldiqua? Certamente sarà una evoluzione graduale e diversificata
verso la luce, la piena conoscenza, l’incontro con l’Essere, la Vita, il Tutto, nel quale si
ricomporrà il globale significato dell’umano esistere e la liberante integrazione affettiva
con altri simili (parenti, amici, affini), anch’essi visti in relazione a quel Tutto, che non
potrà che essere Gioia, Felicità, Realizzazione di tutti i nostri più profondi desideri
incompiuti oltre che dei nostri silenzi finalmente mutati in parola.
Per il momento occorre apprendere a conoscere e a conoscerci, ad ascoltare e ad
ascoltarci. Il resto? Verrà da sé.
tratto da
I testi del ConvivioLA LUCE OLTRE LA SIEPE
di Nicola Michele Campanozzi
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